Jane Whateley viveva a circa un miglio dal paese, là dove antiche ed ignote colline boscose s'adunano più fitte; sapevamo bene che non ci stava molto di testa, tant'è che da tempo le sue precarie condizioni mentali avevano condannato i campi e la vecchia masseria alla malora. Rimasta vedova quand'era poco più che una ragazzina, era solita ingannare la grigia solitudine dei suoi anni raminghi, leggendo tomi vetusti ed oscuri, rinvenuti, a suo dire, nella soffitta della magione che i suoi avi le avevano lasciato in qualità di ultima della sua schiatta; ciò, invero, era assai strano, giacché "Jane la stramba" (così come solevano appellarla i ragazzini giù in piazza, schernendola nei resoconti delle loro infantili prodezze) aveva ricevuto un'istruzione raffazzonata da suo padre, il quale, se me lo concedete, non è che fosse poi tanto più erudito della sua stessa creatura. Col tempo, poi, strane rughe presero a solcarle il volto equino ed emaciato, mentre andava di casa in casa annunciando la lieta novella che presto avrebbe partorito due splendidi gemelli: povera, sciocca Jane, a quale triste capolinea l'aveva condotta la diligenza della follia!
Iniziammo, piuttosto crudelmente lo riconosco, ad evitarla adducendo ogni pretesto, per quanto scarsamente verosimile potesse essere.
E, infine, giunse quella notte, la notte di Ognissanti... in cui iniziò a cantilenare un lugubre Requiem...
Decidemmo che era arrivata l'ora di rinchiuderla in qualche posto dove avrebbero avuto cura di lei, per il suo bene... e anche per il nostro.
Giunsero tre addetti sin dal manicomio di Aylesbury per portarsela via, ma lesti fuggirono dalla casa malata, prede di un orrore che pareva trascendere l'essenza stessa della Paura.
Urlavano di aver visto la donna china sulle due cullette rivestite di raso a cantare quell'odiosa nenia di morte alle due figure che ivi riposavano...e di come queste, al loro arrivo, volaron via spiegando macabre ali nere.
