Una vita monotona

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Avete mai pensato alla bellezza delle nuvole? Le nuvole che da sempre attirano l'uomo. Forse perché sono il simbolo di un limite irraggiungibile, il cielo, forse perché, nella mente di qualche sognatore, possono assumere mille forme, forse perché sono intrinseche di una bellezza tutta loro, una bellezza che regala solo la semplicità. Come definire complicata una nuvola? Impossibile! È una collinetta consistente di varie tonalità di bianco, tutto qui. So cosa state pensando: "Ma le nuvole al tramonto e all'alba non sono bianche!"
Si, vero, ma, ben pensandoci, è il sole che regala loro il suo colore: le nuvole in se sono semplici. Eppure, nonostante questa loro semplicità, non so quante volte il mio sguardo si sia perso nel cielo, adagiandosi su qualche nuvola. Anche ora, anche sul treno per tornare a Parma, non riesco a staccarmi dal finestrino. Non ho voglia di parlare con gli altri: il ritorno mi dà sempre una strana sensazione, come una chiusa alla bocca dello stomaco. Al di là del finestrino vedo il paesaggio che cambia e si fa sempre ondulato, i pascoli cedono il posto ai campi, i pini alle betulle e il verde scuro sembra non riuscire a contrastare la potenza di un altro verde, un verde smeraldo che ti invade gli occhi quando è colpito dal sole. Piano piano le città cambiano forma e tra le altre, dopo dodici ore di treno, ecco che arriva anche la mia.
Una volta arrivati a Parma, passo dal finestrino del treno a quello dell'auto di Achille e poi alla finestra di casa mia. I miei genitori portano un vassoio di cose che mi piacciono sul tavolino  della camera, mi danno un bacio sulla nuca ed escono: sanno che il giorno del ritorno è insopportabile per me. È sempre stato così, è l'altra faccia della medaglia. Con questo non voglio dire che non sia contenta di rivedere le persone che amo, ma la gioia di riabbracciarli è spazzata via, bruciata, calpestata, infangata, dalla perdita di tutta quell'adrenalina che regala un viaggio. Tornare a casa, è come essere svuotati di tutte le emozioni che fino a quel momento dominavano la testa, il petto e lo stomaco. Tornare alla monotonia della classica routine, rende tutti i colori più opachi, affievolisce quella boccata di ossigeno che mi riempiva i polmoni, uccide le farfalle che mi invadevano la pancia e stabilizza il senso di vertigini che provavo per ogni nuova esperienza. Così, passo dal vivere ogni secondo come fosse speciale, a contare le ore che mi separano dall'uscita da scuola, poi quelle che si frappongono tra me e la mia corsetta serale, quelle che mi allontanano dalla notte e così via, in un ciclo senza fine. Aspetta, così è forse una visione un po' troppo buia della mia vita, ma ora come ora, vedo solo aspetti negativi e giorni e mesi che mi allontanano dal prossimo viaggio.
Mi giro e afferro una mela dal vassoio. Abbraccio le gambe e afferro un libro da leggere. Dopo pochissimo mia madre entra per munirmi del mio telefono temporaneo, un telefono che risale più o meno all'età della pietra. Sbuffo e cerco di metterlo in funzione. In una buona mezz'ora riesco ad accenderlo e a leggere qualche messaggio, tra cui quelli di Elisabetta e Lilliana, che ovviamente mi ordinano di trovarci al parco in venti minuti.
Prendo la giacca e esco con la testa bassa.

Wanderlust: Storia di un'aspirante viaggiatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora