La finestra su Barcellona

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Di nuovo quella sensazione di leggerezza, una leggerezza che mi pervade, che sembra riempire ogni poro della mia pelle con l'ossigeno, tanto da rendermi possibile alzarmi dal suolo. Guardo la terra che si allontana sotto di me: le persone diventano formiche e poi scompaiono, le auto diventano puntini, le case sembrano macchie di colore e le strade assomigliano vagamente a piste per le biglie. Da quassù mi sembra che la nostra vita sia così precaria, così fragile! Siamo davvero così piccoli e insignificanti nell'universo?
Continuo a guardare fuori dal finestrino, finché il verde e il marrone non lasciano spazio all'azzurro del mare e poi al blu dell'oceano. Il sole è già alto e illumina le onde come un manto di minuscoli diamanti frenetici. I loro riflessi mi feriscono gli occhi, ma è un'immagine troppo bella per distogliere lo sguardo; oserei dire ipnotica.
Col passare del tempo il blu cede di nuovo il passo all'azzurro e poi al verde, infine al grigio.
Il terreno si avvicina di nuovo: le piste delle biglie ritornano strade, le macchie di colore sono ancora case, i puntini riprendono le somiglianze delle auto, infine ricompaiono le formiche, che dopo poco si trasformano nuovamente in persone.
L'aereo colpisce bruscamente la pista d'atterraggio, creando un rumore fastidioso, seguito da un applauso, tipico degli italiani. La voce metallica di una hostess ci augura un piacevole soggiorno. Dopo una coda di svariati minuti, esco finalmente dall'aereo. Il sole mi colpisce gli occhi. Cammino verso l'aeroporto con Liliana alla mia destra e Elisabetta alla sinistra. Prendiamo i nostri bagagli e usciamo in strada, dove troviamo un taxi libero. Mi siedo davanti e sorrido all'autista.
"Bienvenido a Barcelona, señoritas!" Ci dice il tassista.
"Grasias!" È la nostra risposta, pronunciata all'unisono con un marcato accento italiano.
Il tassista mi spiega, con un misto di spagnolo, italiano e gesti, che sa dove si trova il nostro alloggio e che in venti minuti circa saremo lì.
Intanto che siamo in auto, sedute su vecchi sedili di pelle maleodorante, la città inizia a prendere forma al di là del finestrino, prevalendo sulla periferia grigia. Come ci si accorge di essere arrivati a Barcellona? Semplice: basta vedere dove iniziano gli edifici dalle forme tondeggianti e dalle linee curve. Mia madre, innamorata di questa città, mi ricordo che l'aveva definita la "città sinuosa". Sfido chiunque a trovarvi un palazzo dritto, o privo di qualsiasi curva o disegno che non sia una semplice retta. Tutto "si muove" a Barcellona, dalle case ai negozi, dai giardini ai comignoli. Gaudì è arrivato in questa città e l'ha marcata in ogni scorcio, anche se piccolo o insignificante. Ecco, anche il palazzo al quale siamo dirette è tipico della città: un edificio di cinque piani, di pietra grigia con venature marroni, ampi balconi che dominano la facciata e linee curve che fanno sembrare instabile la costruzione. Scendiamo dal taxi, ma non vedo l'insegna di nessun hotel; sarà il posto giusto? Guardo le ragazze che sono disorientate quanto me. Il tassista indica con il dito ben teso esattamente davanti a noi e parte, sfrecciando nella strada appena illuminata dai lampioni.
Mi giro e vedo una porta abbastanza piccola, nera. Di fianco c'è un campanello dorato.
"Ma è questo il posto?" Chiede Liliana.
"Este es!" Risponde una voce alle nostre spalle. "Benvenute!"
A parlare è stato un ragazzo alto, moro, con profondissimi occhi neri e la pelle ambrata. Si presenta come il figlio dei proprietari: siamo nel posto giusto. Entriamo scortate da Guillermo e ci troviamo davanti ad un grande ingresso, coperto da un tappeto rosso.
"Il nostro non è proprio un hotel, è più un insieme di 6 piccole stanze...c'è chi lo chiama "locanda", chi "appartamento" ... il fatto è che gli spazi non sono enormi, ma molto accoglienti! Speriamo sempre di dare il meglio per i nostri ospiti, quindi non esitate a chiedere." Mi guarda dritto negli occhi e sorride, sfoderando denti bianchissimi.
Tra un balbettio e l'altro lo ringrazio e lui ci fa segno di prendere l'angusto ascensore: l'alloggio è al secondo piano. Prima vanno Liliana e Elisabetta, poi saliamo io e Guillermo. L'ascensore è surreale: una gabbietta di ferro nero e pomelli oro, come gli ascensori di tanti anni fa. Effettivamente il ragazzo mi spiega che l'edificio è molto antico, anche se è stato ristrutturato da poco. "Ma abbiamo cercato di mantenerne l'antico splendore..." Aggiunge, mentre apre la porta dell'appartamento e ci proietta in una Barcellona antica. Rimango senza fiato mentre guardo i muri bianchi, divisi da semicolonne che si appoggiano alle pareti, mentre guardo i soffitti alti, mentre guardo i piccoli tavolini circolari in legno nella sala da caffè e mentre guardo la splendida parete di fondo della medesima sala. Quella stanza, che è  il centro dell'alloggio, si affaccia, grazie ad una serie di finestre che costituiscono tutta la parete, su Carrer de Provença, una via trasversale a Passeig de Gracia , illuminata dalla luce calda dei lampioni.
Mentre le ragazze vanno in camera a sistemarsi, io mi siedo sul davanzale di una delle finestre con una tazza di caffè nero in mano e rimango a guardare la città.
"Questo posto è bellissimo vero?"
Mi giro e Guillermo è seduto dietro di me. Sento la sua schiena calda che, ad ogni respiro, sfiora la mia.
"È veramente bello! Avere un posto così è sempre stato il mio sogno."
Lui si gira e mi sorride. "Ma allora sei fortunata, señorita! Barcellona è piena di posti come questo."
Non sono sicura ma penso di rimanere a bocca aperta oppure di mostrare una vera e propria faccia sconvolta, perché Guillermo si mette a ridere e se ne va, tornando dopo poco con una cartina e un pennarello rosso. Spiega la cartina sul davanzale tra me e lui.
"Atencion! Ora ti mostro dove dovete assolutamente andare..."

Wanderlust: Storia di un'aspirante viaggiatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora