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Mi strinse forte a sé, e una marea di brividi serpeggió per la mia schiena, carezzando dolcemente quei lembi di pelle che non avevano percepito il contatto delle mani. Mi faceva bene il suo tocco, ma anche tremendamente male. Eravamo così sbagliati, come due realtà parallele che si scontrano. Destinati alla reciproca distruzione. Ci stavamo consumando l'anima cercando di rimediare ai nostri errori, sapendo quanto fosse difficile, eppure provandoci. Eravamo rimasti distanti per lunghi mesi, ma non c'eravamo persi di vista: discretamente, ognuno controllava i movimenti dell'altro. Non l'avevo perso di vista un secondo, sempre attaccata al suo profilo sui social, per capire dove fosse, con chi...
Mi piaceva sperare che, magari, anche lui desiderasse passare del tempo con me... ed era vero: lui stesso mi aveva chiesto di incidere "schiena". sarebbe stato meraviglioso, come la prima volta. Era l'unico modo per stargli vicino.

-Emma?- sussurrò con le labbra tra i miei capelli.
-Mh...- mugolai io, ancora presa dall'abbraccio.
-Mi dispiace. Non avrei mai voluto farti così male.- disse, sconsolato. Mi si sciolse il cuore, a sentirlo. Mattia Briga che chiedeva scusa? Doveva essere davvero molto triste, allora.
Gli accarezzai distrattamente uno dei tatuaggi sul braccio.
-L'amore si fa in due, Matti... e... abbiamo sbagliato tutto...-
-Pensi questo di noi?- mi interruppe. -Pensi che i nostri momenti siano stati un fottuto errore?!-
-No, no, che non lo penso! Però... - abbassai gradualmente il tono di voce fino a che non si ridusse ad un filino di vergogna. -ho paura....-
Con due dita mi sorresse dal mento per impedirmi di distogliere lo sguardo.
-Hai paura di me?-. Mi scrutó come se non avesse capito bene.
Costrinsi me stessa ad innalzare tra sentimenti e razionalità un'enorme barriera di durezza. Quella conversazione stava durando fin troppo.
-No. Basta, Mattia.-
-Ma, Emma, perché fai così? -
-Ho detto basta!-. Gli rivolsi uno sguardo esasperato, quasi sull'orlo delle lacrime. Ingoiai il magone di pietra che avevo in gola e, con tono più pacato, ma estrenamente gelido, dissi: -Ho trovato un ristorante cinese. Andiamo?-
Senza aspettare risposta, lasciai la camera. Soprendentemente, mi seguì.
Il pranzo si svolse nell'assoluto silenzio, come se tra il mio piatto di sushi ed il suo si fosse eretta una colossale muraglia di ghiaccio invisibile.
Tenevo gli occhi fissi sul piatto, attenta a concentrarmi sul cibo, quando Mattia, toccando la mia mano con un dito, disse: -Emma... c'è Stefano che ti guarda.-
Levai di scatto la testa e iniziai a guardarmi intorno, nervosa.
-Dov'è? -
-Dietro di te... non girarti!-
Troppo tardi.
I suoi occhi si insinuarono nei miei, fissi, vigili. Un brivido di terrore mi serpeggió tra le vertebre, riducendo la mia spina dorsale in gelatina. No, basta. Era davvero troppo per una sola giornata. Perché dovevano succedermi tutte nello stesso momento?
Mi si strizzarono ancora di più i nervi quando vidi Stefano avvicinarsi al nostro tavolo. I miei peggiori incubi si stavano avverando.

-Buongiorno, ragazzi. - disse, con tono affabile, rivolgendomi il suo classico sguardo da pesce lesso.

Mi girai verso Mattia, incrociando i suoi occhi per la per la prima volta durante quel pranzo sempre più assurdo. Come legati da un nastro di complice collaborazione, gli lanciammo un rapido "ciao" all'unisono e seguitammo a mangiare il nostro sushi in tutta tranquillità. Proprio quando iniziavo ad illudermi che fosse stato un breve scherzo della mia immaginazione, la voce vellutata di poco prima mi appelló, dicendo: -Emma, avresti un minuto per parlare?-
Tante cattive risposte da persona acida quale ero mi passarono per la testa in un secondo, ma decisi di concedere all'uomo che mi aveva fatto il peggior male, due minuti del mio tempo, promettendomi di mettere fine a quello scempio che si stava verificando.
Senza dargli una risposta, mi alzai dal tavolo, sotto gli occhi sbigottiti di Mattia, e mi avviai verso la porta d'uscita, ornata da decori floreali incastonati nel legno. Il vento freddo di novembre mi colpì e penetrò nelle mie ossa, poco protette da una camicetta leggera.
-Allora, cosa vuoi?-
-Io... ecco...-.
Gli rivolsi uno sguardo di fuoco, non era cambiato di una virgola.
-Evita i giri di parole e facciamola finita.-
-...ho lasciato mia moglie...per te. Ti amo ancora, Emma.-
E si fondò sulle mie labbra. Cercò di baciarmi, ma proresi una mano in direzione del suo viso e ci assestai un bello schiaffo sonoro.
-Stronzo...-sibilai.

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