Cap. 12

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Quando una birra di troppo ti fa sbarellare.


L'odore di sigaretta bruciata andò a pizzicargli il naso, fino a dargli quasi fastidio.

Tenendo la stecca mollemente fra le labbra, Robert osservava fuori dalla finestra della propria camera da letto. Era rannicchiato malamente sulla sedia girevole dietro alla propria scrivania, con una gamba piegata e l'altra stesa mollemente sotto al tavolo. Con il braccio appoggiato sul ginocchio si portò meccanicamente una mano alle labbra, e si sfilò la sigaretta giusto in tempo per far cadere i rimasugli di tabacco bruciato nel posa-cenere lì vicino.

Se avesse atteso anche un solo un secondo di più gli sarebbe caduta la cenere sui pantaloni della tuta. O peggio ancora sul libro di testo che aveva abbandonato lì aperto davanti a lui.

Era tutto il pomeriggio che provava a memorizzare quel capitolo, ma ogni tentativo era stato più che vano. Non ci riusciva. La sua mente sembrava non volerne lontanamente nemmeno sapere di voler memorizzare quella decina di pagine, e lui sapeva di non potergli dare nemmeno contro.

Sapeva di avere la mente altrove, e nonostante ciò aveva tentato lo stesso di distrarsi. Tentativi futili, i suoi.

Una settimana.

Era già passata una settimana.

L'irritazione gli rimontò forte nel petto, e in un gesto di stizza si sfogò sulla cicca della sigaretta. Le premette con forza in un buchetto libero del suo posa-cenere, colmo come nemmeno durante le sessioni d'esami, e ne abbondonò i resti vicino alle proprie sorelle già consumate.

Sette semplici giorni, centosessantotto ore per essere precisi, da quando aveva baciato Alberich e da quel giorno non lo aveva più sentito.

Nessun messaggio.

Nessuna chiamata.

Nemmeno un piccione viaggiatore o un segnale di fumo.

Niente. Il nulla cosmico.

Se doveva essere sincero, il fatto che l'Orso-tattoo non avesse nemmeno provato a contattarlo lo aveva fatto rimanere un po' male. Forse non propriamente male. Più stizzito. Infastidito, ecco.

Con molte probabilità il castano aveva peccato di arroganza nel pensare che il tatuato lo avrebbe sicuramente richiamato. All'inizio l'aveva avuta quella convinzione, ma con il passare dei giorni si era dovuto necessariamente ricredere.

Alberich non aveva nemmeno provato a mettersi in contatto con lui, neanche una volta, e Robert si era sentito uno sciocco nell'essersi messo ad aspettare.

Aspettare cosa poi? Se l'era chiesto.

Lui ed Alberich erano due completi sconosciuti e non c'era niente che li potesse legare. Il corvino non gli doveva niente.

Eppure... lui l'aveva visto il suo sguardo.

Li aveva visti i suoi occhi dopo il bacio, chiari e sorpresi. Vi aveva letto lo stupore dietro le ciglia scure, insieme ad una lieve luce di soddisfazione che. come una fiammella appena accesa. gli aveva illuminato il viso.

Eppure, non lo aveva chiamato.

E questo lo stava facendo uscire di testa, bene o male, che lo volesse ammettere o meno.

Adirato si alzò in piedi, facendo strisciare le gambe della sedia contro la moquette del pavimento della sua camera da letto.

Il suo bilocale non gli era sempre mai così lugubre come quel pomeriggio.

Le giornate sempre più corte avevano portato una certa penombra nella sua piccola dimora, e l'unica fonte di luce intenta a combattere l'abbraccio del buio proveniva dalla sua piccola lampada da scrivania.

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