7.

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Kyle aveva la testa tra le nuvole. Aveva sbagliato anche un paio di ordinazioni e fatto cadere una bottiglia, fortunatamente vuota, a terra. Jane si era accorta che qualcosa non andava e, nonostante avesse tentato più volte di farsi dare qualche spiegazione, Kyle era sempre riuscito a mascherare la realtà della situazione dicendo di essere semplicemente stanco.

Alle quattro del pomeriggio, una volta finito il turno del pranzo, dopo essersi dato il cambio con Bethany, la sua collega, Kyle scappò letteralmente dal locale e si diresse, di corsa, verso il suo appartamento.

Il Jane's Diner non era tanto lontano da Dorchester, il quartiere popolare in cui Kyle viveva da tutta la vita. Quindi dovette percorrere solo qualche isolato prima di raggiungere le grandi palazzine coi mattoni rossi usurati dal tempo, tutte uguali, in un unico agglomerato di appartamenti, dove si trovava anche la sua casa. La palazzina E, si trovava proprio al centro del mucchio.

Il suo appartamento, posto al terzo piano, era grande quanto una scatola di cereali ma Kyle, grazie ai tre lavori che lo impegnavano per tutta la giornata, era riuscito ad arredarlo con qualche oggetto di antiquariato- così gli piaceva chiamare le cose che trovava nei negozi di usato- che davano un'aria radical chic a una casa altrimenti vuota.

«Ty! Sono a casa!» disse a voce alta, rientrando col fiatone e chiudendosi la porta alle spalle. Sentì dei passi veloci avvicinarsi e intravide la testolina scura di Tyler, il suo fratellino di dieci anni che, con un gran sorriso e le mani sporche di svariati colori, si gettò tra le sue braccia.

«Sei tornato! Hai fatto presto!»

«Sì, oggi sono tornato prima e ti ho portato una sorpresa» sorrise Kyle, uscendo dalla tasca un lecca-lecca. «Prima si cena, però!»

«Lo porto solo in camera, non lo mangio!»

Kyle lo guardò severo, non riuscendo però a nascondere un sorriso: «D'accordo. E lavati le mani!» ma già Tyler era corso via chiudendosi in camera.

**

Erano passati due giorni dalla notte passata con il cameriere dell'Harvard Bar and Grill e Sammy non era riuscito a togliersi dalla testa quegli occhi d'acciaio e il sorriso bianchissimo di quel ragazzo. Solo Mark, finora, aveva occupato così tanto i suoi pensieri. Era arrivato in ufficio, quella mattina, senza neanche rendersi conto della strada che aveva percorso dal suo appartamento fino alla Fairfield, era entrato nell'edificio senza guardarsi intorno e senza salutare le solite facce e si era seduto alla scrivania, automaticamente.

«Non ti sei neanche reso conto che sono seduto qua da almeno tre minuti»

Una voce interruppe i pensieri di Sammy che sgranò gli occhi ritrovandosi davanti la faccia stranita di Mark Leeson.

«Come?» domandò assorto.

«Che ti succede, amico?»

«Io...non lo so. Cazzo, non ne ho idea.» disse quasi bisbigliando.

«Ne vuoi parlare?»

Sammy fissò a lungo gli occhi scuri dell'uomo di cui era consapevole di essere innamorato da parecchio tempo. Ne osservò i tratti, le leggere rughette ai lati degli occhi, i capelli corti ma spettinati e le labbra sottili ma non troppo. Amava da sempre Mark, ne era certo, ma in quel momento apparirono nella sua mente le immagini di quel ragazzo, il sorriso con cui l'aveva accolto dentro di sé, gli occhi di quello strano colore, così luminosi, la voce calda e giovane, perfettamente abbinata al suo aspetto e il suo profumo. Diamine, Sammy era convinto di impazzire. Sentiva ancora nell'aria quel leggero sentore di borotalco.

Love Made Me Do ItDove le storie prendono vita. Scoprilo ora