1. ASHLEY

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Detesto svegliarmi con il suono molesto della sveglia, ma quando sbatto le palpebre più volte per abituarmi alla luce, ricordo all'istante il motivo per cui io l'abbia messa a un orario così poco ortodosso.

Sono le sette del mattino, i raggi solari che colpiscono proprio il mio cuscino sono fastidiosi e ho esattamente novanta minuti per rendermi presentabile per il mio primo giorno alla USC.

Un sogno diventato realtà, potrebbe affermare qualcuno. E avrebbe assolutamente ragione. Neanche io avrei mai pensato di rendere la mia vita un così perfetto cliché, ma sono felice di potermici crogiolare dentro. Infondo, chi critica, non è altro che invidioso. L'ho imparato a mie spese quando leggevo le sceneggiature delle altre ragazze durante un corso estivo di scrittura creativa, dove la protagonista era una giovane donna proveniente da una piccola città e, per una felice configurazione degli eventi, che altro non è che una bella botta di culo, riesce a trasferirsi a New York iniziando il lavoro dei sogni e incontrando un affascinante uomo pronto a sbatterla su ogni mobile del suo lussuoso appartamento a Manhattan.

Ah, no... il dettaglio erotico appartiene alle mie sceneggiature, ma comunque il punto è questo: finché erano gli altri a far vivere una vita meravigliosamente fantastica ai propri personaggi, io lo detestavo e lo trovavo un cliché poco realistico, ma ora che io mi ritrovo nella stessa identica situazione, devo ammettere che mi piace troppo svolgere un'esistenza stereotipata.

Ora posso guardarmi allo specchio e dire: "Ashley Puckett, ce l'hai fatta!". Sono pronta a buttarmi dentro questa nuova avventura, anche se non riesco a scrollarmi di dosso l'ansia. È come se mille farfalle si fossero scatenate nel mio stomaco e avessero deciso di fare una festa proprio lì.

Cosa diavolo indosso per il mio primo giorno di università? Cosa penseranno di me gli altri studenti? E se mi perdessi nel campus gigantesco? Respiro a fondo, cercando di calmarmi. Questo è quello per cui ho lavorato, e non ho intenzione di farmi prendere dal panico.

Se fossi rimasta a Maysville, oggi sarebbe un giorno come tanti. Probabilmente mi sarei svegliata tardi, avrei fatto colazione con calma e mi sarei preparata per frequentare un college locale, dove tutto è tranquillo e prevedibile.

Non c'è nulla di sbagliato nel restare nella propria città natale, ma diciamocelo, avrei sentito la noia scorrermi nelle vene. La prospettiva di una vita ordinaria, monotona, in cui ogni volto è familiare e ogni strada è già stata percorsa mille volte, mi avrebbe soffocata. Qui invece, a Los Angeles, ogni cosa sembra nuova, enorme e smagliante, tanto che mi aspetto di vivere qualche colpo di scena in stile hollywoodiano.

Dopo aver buttato giù dal letto la mia migliore amica, Lynn, trascinandola nella doccia e costringendola a muoversi, ci metto una buona mezz'ora per scegliere l'outfit da primo giorno di scuola, come se avessi quattordici anni e dovessi fare colpo sui miei compagni di classe.

Purtroppo, il mio armadio trasuda noia, monotonia e soprattutto sconfitta. Non ho abiti alla moda da poter sfoggiare all'entrata della USC, dove faranno il loro ingresso le belle ragazze californiane con borsette Miu Miu e occhiali da sole targate Chanel.

Alla fine, sconsolata, indosso un paio di jeans a vita alta e una camicetta a balze orrenda, che probabilmente avrà trovato posto nella mia valigia per volontà di mamma. La indossavo quasi tutte le domeniche per andare in chiesa.

«Ti prego, no», commenta la mia scelta Lynn, quando entro nella piccola cucina per fare colazione.

«Non ho trovato di meglio», rispondo versandomi il caffè tiepido nella tazza.

«Se dopo aver pagato l'affitto e le bollette ci dovessero rimanere dei soldi, andremo a fare shopping. È una promessa».

«Temo che per riuscirci dovremmo campare di acqua e pane per le successive quattro settimane».

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