10. ASHLEY

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È sabato sera. Dovrei prepararmi qualcosa da mangiare, ma solo il pensiero di alzarmi e aprire il frigorifero mi fa passare quel briciolo di appetito che potrei avere. Così rimango stravaccata sul divano, avvolta in una coperta leggera e con il cellulare in mano. Sex and the City scorre sullo schermo, ma neanche Carrie e le sue storie di New York riescono a tirarmi su di morale.

Stasera sono irritabile. Non posso fare a meno di ripensare a ieri, quando io e Lynn abbiamo litigato. Non era nemmeno un vero litigio, a dire il vero, solo una sciocca discussione che è degenerata. Non volevo punzecchiarla, non volevo farla arrabbiare, e invece... il mio orgoglio ha preso il sopravvento, come sempre.

Non è niente di grave, lo so. È una di quelle piccole tempeste che passano in fretta. Ma mi sento comunque uno schifo.

La verità è che sono stata io a sbagliare. Lo so benissimo. Ho detto quella frase sul sesso con l'unico obiettivo di pungerla sul vivo e ferirla proprio come stava facendo lei con me. E ora mi sento incompresa, abbattuta, come se tutto fosse colpa mia e non sapessi da dove cominciare per risolvere la situazione.

Cerco di distrarmi, di non pensarci troppo. E cosa c'è di meglio per risollevare l'umore che immergermi nel mondo spumeggiante di quattro amiche che affrontano la vita frenetica di New York? Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte sono le mie eroine. Loro sembrano avere sempre la risposta giusta, o almeno fanno sembrare tutto più semplice e glamour. Forse guardando loro riuscirò a dimenticarmi per un po' del mio pessimo stato d'animo.

Mentre guardo la puntata in cui Carrie fa una scorreggia a letto con Mr. Big accanto, qualcuno suona al citofono, e penso subito che si tratta di Lynn che ha dimenticato le chiavi. Così, apro il portone senza nemmeno controllare, rimanendo accanto alla porta d'ingresso per aprirle quando fosse salita, ma nel momento in cui spalanco la porta, davanti a me non trovo Lynn, bensì Keith.

Keith. Davanti a me. Così, all'improvviso, come se fosse la cosa più normale del mondo presentarsi sulla soglia di casa mia, vestito da cattivo ragazzo con classe.

Indossa una giacca in pelle vintage che gli cade addosso perfettamente, una camicia di un verde scuro sotto, con qualche bottone aperto sul petto, e un paio di jeans dal taglio dritto che sembrano dire "guarda quanto sono figo". I suoi capelli sono più ribelli del solito, ondulati e spettinati in quel modo che sembra casuale ma che richiede tanta pazienza, e il sorriso... quel sorriso mozzafiato che si apre sulle sue labbra come se sapesse di avere il potere di farmi svenire sul posto.

E io? Io sono un disastro ambulante. Sono qui, sulla porta, con addosso un paio di pantaloncini sbiaditi che probabilmente risalgono al liceo e una canottiera senza reggiseno che lascia poco all'immaginazione. Per non parlare dei miei capelli.

Oh, i miei capelli. Ho preso la brutta decisione di pettinarli durante l'asciugatura, senza schiuma, e ora mi ritrovo con un cespuglio riccio in stile Hagrid. Vorrei sprofondare. O svenire. O tutte e due le cose.

Provo a parlare, ma mi esce solo una specie di gorgoglio soffocato. Perfetto, oltre che sembrare un troll, ora sembro anche muta.

Keith mi guarda, e il suo sorriso si allarga. Sembra quasi divertirsi. Cosa ci fa qui? E soprattutto, perché non mi è venuta l'idea di mettermi qualcosa di decente?

«Disturbo?» Chiede lui con voce penetrante. È una tale visione per i miei occhi che mi viene difficile riprendermi, ma alla fine riesco a replicare, schiarendomi la voce e facendomi da parte.

«No. Entra pure», lo invito.

«Spero che tu non abbia già cenato, perché ho portato da mangiare», dice mostrandomi un sacchetto tra le mani. «Ti piace la cucina cinese?»

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