Capitolo 3

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Mi voltai di scatto e non vidi nulla.
-Sto diventando troppo paranoica...-. Mi rimproverai.

Tornai in camera mia e brancolai nella penombra verso il letto. Il vecchio pavimento di legno scricchiolava sotto ai miei piedi in modo sinistro, ma cercai di darmi una calmata concentrandomi su altri pensieri.
Ero sul punto di stendermi sul letto quando qualcosa catturò la mia attenzione: qualcosa di bianco era appoggiato sopra le coperte, in piena vista. Qualcosa che non avevo lasciato io.

Lo raccolsi e al primo tatto, capii subito che si trattava di un foglio di carta... presi lo smartphone da sotto il cuscino e lo illuminai. Per un attimo rimasi come irrigidita, era lo stesso foglio che avevo trovato quella sera.
"BEWARE" la scritta sembrava più calcata e più inquietante della prima volta che l'ho letto. Non lo avevo buttato via? Come aveva fatto a finire sul mio letto? Ce lo doveva aver messo qualcuno per forza!

Fu quando lo realizzai che iniziai ad andare in panico. Qualcuno doveva essere entrato nella mia stanza e avercelo messo. Forse il fatto che mancava la luce in casa non era soltanto una caso.
Mi guardai intorno nella stanza spaventata, come se da un momento all'altro sarebbe sbucato fuori un serial killer come un pupazzo a molla. Istintivamente composi il numero della polizia.

«112, qual è la vostra emergenza?». Chiese l'operatore.

«Qualcuno è entrato in camera mia!». Dissi.

«Pronto?».

« Qualcuno è entrato in casa mia! Per favore, mandate qualcuno a controllare!».

«Pronto? Non la sento, la linea è molto disturbata!»

«Mi sente? La prego, mi aiuti!»

«Se è lo stesso ragazzino che poco fa ha fatto lo stesso scherzo, non è divertente!»

«Non è uno scherzo, c'è qualcuno in casa mia!»

L'operatore buttò giù il telefono.

-Merda!- cosa avrei dovuto fare? Improvvisamente sentii uno fruscio di foglie proveniente dal giardino sotto la mia finestra e mi affacciai immediatamente. E questa fu la prima volta che lo vidi... Lui

Nel mio giardino c'era una sagoma scura, un uomo, che mi stava fissando. Indossava un paio di occhialetti arancioni e tra le mani, stava stringenti due accette.
«Mamma!». Gridai spaventata. E se avesse fatto male a mia madre? Un brutto presentimento iniziò ad insinuarsi nella mia testa. Mi precipitai al piano di sotto a tutta birra e trovai mia madre addormentata, così come l'avevo lasciata qualche attimo prima, in soggiorno. Stava ancora russando , il che mi rincuorò molto, perché capii che stava bene. Ma non avevo di certo tolto di mezzo il problema, perché in giardino c'era un pazzo psicopatico con due accette che sarebbe potuto entrare da un momento all'altro in casa e io non potevo avvertire la polizia.

Andai in cucina e aprii uno sportello, dove su una mensola, dietro diversi pacchetti di caffè in polvere e biscotti, trovai il dissuasore elettrico che mia madre nascondeva. Poi mi infilai un paio di scarpe e uscii in giardino.
Il tizio con le accette non si era spostato di un millimetro.

«Hei tu!». Gli urlai , prendendo coraggio. «Che cosa pensi di fare?». Il cuore aveva iniziato a martellarmi nel petto ed ero terrorizzata. Lui era molto più alto di me e seppure avesse un fisico snella e molto slanciato, sembrava abbastanza muscoloso. Nonostante la sua altezza non mi tirai indietro.

«Che cosa vuoi da noi?».

In risposta, il ragazzo sollevò un braccio e indicò me stessa.

«Non mi fai paura!». Gli urlai , ma la mia voce mi tradì. Era evidente che avessi paura e che non avessi la benché minima possibilità contro uno forte come lui. Cosa avrei dovuto fare? L'unica cosa che potevo fare era scappare, ma non volevo lasciare indifesa mia madre. Sapevo che non avrebbe avuto difficoltà ad entrare in casa, visto che era già riuscito ad entrare dalla finestra della mia stanza, al secondo piano.
Inaspettatamente lo vidi voltarsi indietro e correre in direzione del cancello.

«Hei! Dove pensi di andare?». Lo seguii.

Lui scavalcò il cancello di casa dirigendosi verso i boschi. D'impulso decisi di andargli dietro. Lo so, voi direste che non è stata una decisione molto saggia e che, probabilmente, ci sarebbero state altrettante scelte migliori da fare, piuttosto che gettarsi a capofitto nella fossa dei leoni, e avreste ragione; ma vi posso assicurare che quando si ha veramente paura di perdere qualcuno a voi caro e si ha in circolo solo adrenalina, non si ha neanche il tempo di fermarsi e pensare ad altre scelte.
Corsi più velocemente che potevo, ma ogni passo sembrava che aumentasse la nostra distanza e non ci volle molto perché mi ritrovassi a guardarmi in torno alla cieca.
-Lo sapevo che sarebbe stata un idea stupida venirgli dietro...-. Mi voltai disperatamente. Ero circondata dagli alberi e , colmo dei colmi, mi ero di nuovo persa -.-"
Possibile che non mi ricordassi dov'ero finita? Di una cosa ero certa: non ci eravamo allontanati di molto da casa mia, dovevamo essere distanti appena mezzo miglio al massimo.
-Cazzo!- le gambe mi avevano iniziato a tremare e il cuore mi batteva all'impazzata nel petto, faticavo a respirare. Ero nel panico più totale.

Strinsi il dissuadere elettrico nella mano e lo accesi. Sarebbe bastato una scarica nel posto giusto per palizzate un braccio o un gamba e fuggire il più lontano possibile.
Tutto intorno a me si era fatto molto silenzioso, non si udivano nemmeno gli animali. Il sole era sorto da qualche minuto, ma non splendeva a sufficienza perché potessi individuare una via di fuga o magari un sentiero. Ero circondata dalla fitta vegetazione e ora potevo sentire dei passi.

Qualcuno, o qualcosa, si stava avvicinando a me.

Iniziai a sentire un ronzio nelle orecchie. Dapprima lo sentii molto debole, poi diventò sempre più forte, fino a diventare insopportabile. Non sapevo che cosa mi stesse capitando, ma decisi che sarebbe stata una buona idea iniziarsi a muoversi in qualche direzione. Corsi con le gambe in spalla, immergendomi nella foresta e infischiandomene dei tagli che mi stavo procurando alle braccia e alle gambe mentre correvo in mezzo ai rovi. L'unica cosa che potevo vedere nitidamente erano i tronchi dei alberi, che per fortuna riuscivo ancora a evitarli.

Raggiunsi un piccolo ruscello dall'aria famigliare e lo attraversai rapidamente, ma quando arrivai a riva inciampai su un sasso e il dissuasore mi volò via dalle mani. -Ma perché deve capitare tutto a me?!?- pensai. Cercai di rialzarmi alla svelta ma qualcosa mi fermò.

Davanti a me, il ragazzo con le accette mi stava fissando dietro quelle lenti tonde e arancioni. Riusci a vederlo meglio: indossava una felpa con un cappuccio e la sua bocca era coperta da una maschera. Tra le mani impugnava due accette sporche di un liquido scuro rattrappito, che potevo ben immaginare cosa fosse.

Che cosa avrei dovuto fare? Ero in trappola e non c'era via di fuga tra me e lui, così iniziai a pensare che la mia vita stava per finire... e chi l'avrebbe mai immaginato che sarei morta a 17 anni, assassinata da un serial killer con le accette?

Le lacrime stavano uscendo da sole e mi stavano bagnando le guance , fermandosi sul mento. Allo stesso tempo avevo iniziato a tremare dal terrore. Avrei urlato, se solo la voce non si fosse bloccata nelle corde vocali.

Lui si avvicinò a me a passi ben calibrati e sollevò l'accetta con fare minaccioso, pronto a sferrare il primo colpo. Quando avrebbe fatto male? In quanto tempo mi avrebbe fatta a pezzi?
-mamma... ti voglio bene...- pensai, chiudendo gli occhi.

Passo un lungo attimo e poi, sentii la prima accettata...

(Spazio autrice)

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