Capitolo 5

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Quando mi svegliai, il mio aspetto non era assolutamente uno dei migliori: ero pallida come un cencio, sudata e piena di tagli.
Mi alzai con cautela, perché le gambe mi stavano ancora tremando e mi ricordai il motivo per cui ero svenuta. Aprii un cassetto della scrivania e tirai fuori un pacchetto di caramelle. Ne estrassi un paio e me le infilai in bocca, iniziando a masticarle.

Qualche attimo dopo iniziai a sentirmi già molto meglio e cercai di ricostruire tutto quello che era successo la sera prima. La testa mi scoppiava e i ricordi erano offuscati, ma ero sicura più che mai che qualcosa fosse successo. Altrimenti, come diavolo avrei fatto a procurarmi tutti quei tagli alle braccia e alle gambe?

«Il foglio!» sussultai, per poi tirarmi su e cominciare a mettere sottosopra la stanza alla ricerca di quel pezzo di carta.

«Che combini, tesoro?» la voce di mia madre fece capolino da dietro la porta.

«Mamma, hai visto il mio foglio?» le domandai, ma logicamente non poteva sapere di cosa stavo parlando, dato che non gliene avevo ancora parlato.

Lei inarcò un ciglio e sospinse la porta per entrare nelle mia stanza e appoggiare una tazza fumante di caffèlatte sulla scrivania.

«Di quale foglio parli?»

«Niente, lascia perdere.» «Ah, giusto!» le si accese una lampadina «Dovevo dirti che ieri sera i nostri vicini mi hanno chiesto se potevi badare Ethan questo pomeriggio.»

«Ah sì...» risposi distratta, mentre continuavo a mettere a soqquadro la stanza.

«Ti aspettano alle tre di pomeriggio.» mi guardò sempre più stranita, probabilmente, ora si era accorta dei tagli «Tesoro, cosa ti è successo alle gambe e alle braccia?»

Smisi di cercare, ormai arresa. Niente, il tizio con le accette doveva averlo portato via...

«Non è niente, me le sono fatte ieri sera durante la passeggiata.» risposi, iniziando a sorseggiare il caffelatte.

«Cerca di camminare sui sentieri, tesoro.» mi schioccò un bacio sulla fronte e uscì dalla mia stanza.

Qualche attimo dopo, appoggiai la tazza sulla scrivania e mi abbandonai sul letto. Più mi sforzavo a pensare e più sentivo aumentare il mal di testa. Non riuscivo a ricordare molto di quello che era successo, se non qualche vago ricordo offuscato. Ero sicura che fosse stato tutto reale quello che avevo visto? E se fosse stato soltanto un sogno? Non era possibile. Allora, come mi spiegavo tutti quei tagli?

Presi il telefono e vidi che tra le ultime chiamate compariva il numero delle emergenze. Sì, adesso ricordavo: avevo chiamato la polizia ieri sera, perché qualcuno era entrato in casa. Ricordavo anche di aver corso nel bosco, di essere stata aggredita e quasi uccisa...

Dovevo denunciare alla polizia quello che mi era successo. Non potevo ignorare che l'altra notte avessi rischiato di morire! Ed ero lì, lì per premere la cornetta verde, ma qualcosa mi bloccò... alla fine appoggiai il telefono sulla scrivania e andai a farmi una doccia.
Tirai fuori dall'armadio una t-shirt azzurra di Tom&Jerry e un paio di shorts di jeans. Presi la biancheria pulita e mi diressi in bagno.

Mi squadrai per un po' allo specchio. Avevo i capelli pieni di foglie e tutti scompigliati, mentre la maglietta non solo era sporca e sgualcita, ma la stoffa sulle spalline era leggermente lacerata. Per fortuna che mia mamma non l'aveva notato!

Aprii l'acqua e aspettai che diventasse calda. Nel frattempo, mi sbarazzai del pigiama e mi lavai i denti. Terminata l'operazione, mi infilai sotto il getto dell'acqua calda e passai delicatamente ogni punto del mio corpo con il lato morbido della spugna. Le ferite bruciavano e alcune, sanguinavano ancora.

Iniziai a massaggiare i lunghi capelli biondi con lo shampoo alla camomilla e cercai di levare, per quanto possibile, tutto ciò che era rimasto impigliato tra le ciocche. Passai al balsamo e rimasi lì sotto per altri dieci minuti, rimuginando su ciò che era successo l'altra sera. Mi ricordai un altro dettaglio: "Lyra", il nome che il mio aggressore aveva detto quando aveva rinunciato a uccidermi. Sì, ricordavo anche le sue lacrime e i suoi occhi tristi. Mi aveva risparmiata. E non solo. Poi, doveva essere stato lui ad avermi riportata a casa, sana e salva.

Se mi avesse lasciata lì, non mi avrebbero trovata neanche dopo giorni di ricerche e avrei anche potuto rischiare di non essere in grado di raggiungere casa, anche se mi fossi svegliata.

Chiusi l'acqua e uscii dalla doccia. Mi asciugai per bene e indossai i vestiti che avevo scelto. Spazzolai i capelli e decisi di lasciarli bagnati.

Andai in camera mia e accesi il computer, decisa a fare una ricerca in internet su quel misterioso serial killer. Qualcosa, da qualche parte, sarei riuscita a trovare...

Toby's P.O.V.

Mi stavo torturando le dita da un po' quando sentii dei passi avvicinarsi a me. A giudicare dai passi lenti e calibrati, potevo già intuire chi c'era alle mie spalle.

«Ti comporti in modo strano.» disse Masky, fermandosi a qualche passo da me.

«Io mi comporto sempre in modo strano.» ribattei, cercando di apparire tranquillo, quando un tic alla spalla mi tradii.

«Questo l'ho trovato ieri sera vicino al ruscello...» mi voltai per vedere di che si trattava e riconobbi subito l'oggetto che aveva in mano. Era un dissuasore elettrico, quello che la ragazza che avevo cercato di uccidere l'altra sera, stringeva in mano. «...lo sai che Lui non approva che lasciamo in vita le vittime.»

«Lo so.» tagliai corto, afferrando l'oggetto e infilandomelo nella tasca.

Conoscevo anch'io le Sue regole. E  lasciare le nostre vittime in vita era una di quelle principali, dal momento che potrebbero capitare molti problemi se lo facessimo con molte persone.
La gente non doveva sapere di noi Proxy e di Slenderman. Dovevano continuare a vivere nella loro ignoranza e pensare che noi esistevamo solo nelle Creepypasta, come frutto della fantasia di utenti anonimi ed è proprio per questo che siamo venuti qui. Per farci dimenticare.

Esistevano troppi filmati e recensioni sulla rete che parlavano delle nostre apparizioni e il numero delle persone che credeva che fossimo reali stava aumentando a dismisura. Ci sarebbe voluto un po' prima che le acque si calmassero.

«Grazie.» gli dissi, prima che uscisse dalla mia stanza e si chiudesse la porta alle spalle.

Se non fosse stato per lui, molto probabilmente a quest'ora ci sarebbero stati Hoody e Slenderman al posto suo, il che, non sarebbe stata una buona cosa, dal momento che loro non tolleravano questo genere di cose.
Masky aveva mantenuto almeno quel poco di umanità che gli era rimasta, nonostante ormai fosse un Proxy da molto tempo, come Hoody, e avesse imparato a uccidere a sangue freddo.

Lui diceva che, col tempo, mi sarei abituato anch'io e che presto, avrei fatto l'abitudine a uccidere a sangue freddo le mie vittime e che avrei iniziato a trarne piacere. La verità era che non sapevo bene quel che provavo quando uccidevo le mie vittime. Guardare i loro occhi pieni di terrore non mi dava alcun piacere, ma neanche dispiacere. Ero diventato apatico verso queste cose e credo che, per la prima volta, dopo tanto tempo, ho sentito, di aver iniziato a provare qualcosa.

Ancora, non so descrivere il misto di emozioni che ho provato quando mi sono ritrovato davanti a quella ragazza; ma nel momento in cui stavo per affondare la lama nel suo petto, mi è tornato in mente il giorno dell'incidente, in cui ho perso mia sorella e quel che ne restava della mia stabilità mentale. E allora, ho sentito un'emozione molto forte... di tristezza, paura, agonia, rabbia e qualcos'altro di cui non ricordo il nome, ma mi aveva fatto provare un peso al petto.

Fino ad ora, non mi sono mai pentito di uccidere qualcuno.
A dire il vero, non me ne frega niente, perché io non posso provare dolore e non posso neanche avere delle emozioni, dal momento che non sono più un essere umano. Però, ho sentito qualcosa di strano... per un attimo, ho creduto che se l'avessi uccisa, me ne sarei pentito.

Che cosa bizzarra...

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