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#HARRY'SPOV

La testa mi fa male dal troppo pensare, ho bisogno di qualcosa per distrarmi, ne ho dannatamente bisogno. Premo il cuscino sul viso per impedirmi di urlare. Il cellulare posato sul comodino accanto a me non smette di squillare, posso immaginare chi sia, Gemma, ma non ho intenzione di risponderle per sentire la sua ramanzina, so già cosa vuole dirmi, e non voglio sentirlo. Mi ero abituato alla sua assenza, fingo che sia ancora qui, e penso non esista cosa più stupida.
Alla quarta chiamata di fila afferro il telefono e lo spengo, per poi lanciarlo ai piedi del letto. Ma non ha capito che non voglio fottutamente parlarle? Sospiro torturandomi i capelli. Do' un occhiata all'orologio appeso al muro, sono quasi le nove, tra un'ora dovrò essere da Wallace, Louis mi ha assicurato che stasera saremo tutti lì e già sbuffo all'idea. Un locale pubblico indica: niente erba, e io ne ho dannatamente bisogno. Mi alzo, trascinandomi verso il bagno. Lo specchio incorniciato di nero mi mostra quanto io sia ridotto male, due occhiaie violacee mi solcano gli occhi e i miei capelli sono aggrovigliati, dovrei tagliarli, ma non spenderò i miei soldi per un fottuto taglio di capelli che saprebbe fare anche mia nonna. Lo specchio riflette la doccia dalle ante aperte dietro di me, un'idea mi attraversa la mente. Mi infilo dentro la cabina e mi allungo fino alla parte più alta della struttura della doccia, sollevo il piccolo cilindro del rivestimento rotto, e afferro la marijuana rivestita dalla pellicola trasparente, incastrata nel tubo d'acciaio. Esulto e mi ringrazio mentalmente di averla nascosta qua quando Louis mi venne a trovare quel giorno, non volevo la fumasse, era mia, e se l'avesse vista non sarebbe durata più di cinque minuti nelle sue grinfie. Torno in camera e la monto velocemente, non voglio che la mia stanza puzzi di questo schifo, così decido di andare sul terrazzo del mio appartamento e sedermi sulla mia sdraio rovinata. Ogni tiro corrisponde ad un sospiro di sollievo, ho bisogno di qualcosa che mi allontani dalla mia merda di vita per un po'.

Dopo aver messo la maglietta nera dei Guns 'n Roses sono sceso nel parcheggio a recuperare la mia adorata auto. Mi accomodo sul sedile in pelle facendo retromarcia per immergermi nel traffico.
Non mi sono nemmeno occupato di darmi una sistemata, non me ne frega un cazzo. Se mi verrà voglia di scopare basterà scusarsi con Nati, darle un bacio dolce, e sarà già mia. Non so perché le piaccio, non ne ho la minima dannata idea, non che mi importi, ma è proprio una stupida a farsi trattare così, io sono un ragazzo e so cosa voglio, avrebbe dovuto aspettarselo. Mi fa un po' pena, il modo in cui si è messa a piangere quando le ho detto che è stata una cosa di cui non tenevo minimamente conto è stato patetico, le lacrime scure, impregnate di trucco, le rigavano le guance magre e mi urlava a gran voce quanto io sia uno stronzo, come se lo avesse appena scoperto. Sbuffo quando il traffico rallenta, per fortuna sono quasi arrivato.


#AMANDA'SPOV

Mi liscio i capelli lunghi con le dita mentre aspetto che arrivi Lea, vedo il mio cellulare illuminarsi sul lavandino, deve essere lei, quando lo afferro rimango stupita.

Da: Papà
Tesoro come stai? Verrai mai a farmi visita? Manchi molto anche a Lola.

Il cuore mi si scalda, mi manca papà, mi manca svegliarmi con i suoi pancakes allo sciroppo d'acero, le sue carezze sui capelli, e l'odore del suo dopobarba quando lo abbracciavo. Ormai sono due mesi che non lo vedo, non sono mai riuscita a trovare il tempo a causa del  lavoro, non posso rischiare di far calare la mia paga o addirittura farmi licenziare, con mia mamma che ha perso la testa non posso permettermelo. Scuoto la testa al pensiero.
Lola fra tre settimane farà diciassette anni, non posso mancare al suo compleanno, dovrei essere un esempio, invece non mi faccio mai vedere, penserà che non mi importi niente di lei.
Sollevo il capo, cercando di trattenere le lacrime che minacciano mi cadere.

Mi arriva un altro messaggio, stavolta da Lea:
"Sono giù, scendi"

Infilo velocemente il cellulare nella borsa, e corro verso la porta d'ingresso del mio appartamento, l'ascensore è occupato, così mi incammino giù per gli scalini, sulle rampe in marmo rimbomba il suono prodotto dai miei stivaletti. Mi ritrovo a pensare a mia madre, chissà dove si è cacciata, ogni volta che ci ripenso mi do la colpa, è colpa mia se tutta la nostra felicità si è interrotta, vorrei tanto tornare a quella sera e ricominciare tutto da capo, così Lola potrebbe avere una solida figura materna accanto a sé, e mia madre forse non sarebbe impazzita così, è solo colpa mia. Scaccio le lacrime che mi pungono gli occhi, ormai è successo e non posso cambiarlo.

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