Come corpi morti

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Doron sedeva alla scrivania, nel buio del suo studio. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto, tanto estraniato da sembrare non riconoscere più neppure la stanza in cui si era volontariamente relegato ormai da settimane.

Il vassoio del cibo era ancora lì, davanti a lui, intatto.

Sentiva le palpitazioni accelerate del proprio cuore, rimbombargli nella testa e poi in tutto il corpo.

Rigido, in quella postura statica che non abbandonava da forse delle ore, Doron sembrava aver perso la capacità di muoversi.

Sapeva di essersi esposto troppo al Ministero, così come sapeva ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi minuti.

E, difatti, proprio come accade in un incubo perverso, successe ciò cui temeva di più: nel buio dello studio un'ombra apparve, più nera dell'oscurità stessa.

Doron strinse spasmodicamente i braccioli della sedia su cui sedeva, cercando di non tremare – o, per lo meno, di non darlo a vedere.

La figura si calò il cappuccio e il chiarore mortale della sua pelle spiccò come la luna in un cielo senza stelle.

Lord Voldemort tirò fuori la propria bacchetta dal manico d'osso e con un gesto annoiato fece divampare un grosso fuoco all'interno del camino, illuminando così l'intero ambiente e dando vita ad uno spaventoso gioco di luce ed ombra su quel suo volto pallido.

« Doron » sibilò a mo' di saluto.

Con un singulto, Greengrass Senior, si alzò per avvicinarsi al suo ospite. Si inchinò ai suoi piedi, con tutta l'ossequiosità che riuscisse a mettere assieme in quel momento e gli baciò la mano ossuta.

« Mio signore » biascicò, la fronte già imperlata di sudore, « quale onore avervi qui nella mia dimora. »

Voldemort annuì distrattamente, poi si scansò dall'uomo per andare a sedersi al posto che egli occupava prima del suo arrivo.

Ne seguì un lungo momento silenzio, nel quale Doron non trovò neppure la forza per rialzarsi da terra.

Attutiti dalla porta chiusa dello studio, iniziarono ad udirsi rumori di chincaglieria rotta, passi pesanti e schiamazzi. Il Signore Oscuro non era venuto da solo e per Doron era chiaro ormai che quella fosse in tutto e per tutto una spedizione punitiva. L'uomo si sentì mancare, tanta era la paura per se stesso e l'apprensione per la propria famiglia, ancora ignara di quel che stava accadendo.

« Doron » esordì nuovamente Lord Voldemort « non nasconderò che i tuoi atti mi hanno profondamente deluso ».

« Vi giuro, mio Signore... vi giuro che mai avrei voluto deludervi. Io... » ma Doron non ebbe occasione di concludere, poiché la porta dello studio improvvisamente si spalancò e vi entrò Elladora, sconvolta, spaventata, i capelli in disordine, senza avere indosso neppure una vestaglia a coprire la camicia da notte. 

Aveva tutta l'aria di essere stata appena buttata giù dal letto e, trovare Lord Voldemort, seduto alla scrivania del marito, di certo non migliorò il suo stato. Difatti un urlo strozzato le uscì dalle labbra prima che avesse il tempo di ricomporsi. Indietreggiò, mettendosi spalle al muro, poi con un irrefrenabile tremito che le scuoteva tutto il corpo, chinò piano il capo.

« Mio signore », disse « è un onore avervi... ».

« Sì, vi ho onorato della mia presenza. È già stato fatto presente da vostro marito », la interruppe lui, il tono derisorio e ben poco propenso ai convenevoli. La pazienza lo stava abbandonando, eppure quel ghigno velenoso continuò a perdurare, incattivendogli ancor più il volto.

Come una stella nel buio (Harry Potter ~ Drastoria)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora