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Come piegarsi al destino. Ritrovarsi sulla soglia del piacere, a pochi passi dalla felicità ed essere strappati con forza dalla realtà.Mi sono sentita come un blocco di marmo. Intagliato, modellato, perfezionato e raso al suolo in un colpo.
Ho visto la luce illuminarmi il viso e spegnersi un secondo dopo.
Le lacrime sembrano gridare dai miei occhi. Ma lasciandole andare rischierei di squarciare quel poco che è rimasto della mia forza.
E di certo questa non è la causa giusta per sprecarla.Anna è la causa giusta.
Mi ha chiamato dall'ospedale, chiedendomi di raggiungerla lì.
Perfetto. Ora terrò la mente occupata. È sempre stato così. Dimenticare un problema con un altro problema.
Mi precipito alla reception e trovo Anna che mi aspetta.
« Dov'eri? » Mi chiede.
« D-da nessuna parte... ero con Rox. » Mento. « Perché mi hai portato qui? »
« Devo farmi degli esami... »
« Quindi hai deciso. »
« Ne abbiamo già parlato... » Sbuffa lei.
« No, tu ne hai già parlato. »
« Ashley! È inutile che provi a farmi cambiare idea. »
« È inutile non farlo! »
« Ora basta! » Ringhia lei. « Non sarai tu a fermarmi. »
« Anna, aspetta! »
La inseguo mentre corre in un'ala dell'ospedale. Sta andando in contro ad un infermiera.
« Ho appuntamento per una serie di analisi. » La sento dire appena mi avvicino.
La ragazza con cui sta parlando avrà pressapoco la mia età. Ha un'aria vagamente familiare.
È incredibilmente bella. I lunghi capelli color rame sono legati in uno chignon basso. Gli occhi bruni irradiano una luce calorosa. I lineamenti del viso sono morbidi e alti. Il fisico snello e asciutto.
Giuro di averla vista da qualche parte.
« Mi segua. »Ci fa accomodare in una stanza ed un'altra donna, probabilmente un medico o qualcosa del genere, prende il suo posto.
Dopo una lunga serie di prelievi, controlli fisici, radiografici e altro la donna le lascia un foglio su cui ci sono appuntati i prossimi incontri.
« Cosa devo fare per convincerti che è una pazzia? » Chiedo correndole dietro.
« Ashley, ti prego, la decisione è già difficile senza che tu ci metta bocca. »« Anna, ti supplico. Parlane con Ben. »
Si gira di colpo e mi fulmina con lo sguardo.
« Non. Nominarlo. » Ringhia.
« È suo figlio. Ha il diritto di sapere. »
« E io invece? Non ho diritto di essere felice? Questo bambino potrebbe creare scompiglio nella mia vita quanto la felicità che darebbe. »
« La vita è un rischio. » E solo ora mi rendo conto dell'ultima volta che l'ho detto.
Federico...
Solo il suo nome mi fa star male.
« Non posso... Mi dispiace Ashley. » Singhiozza lei con gli occhi offuscati dalle lacrime.
Appena prima di raggiungere la reception mi semina e scappa via.
Non posso...
Non posso...
La lampadina si muoveva al rozzo tocco del vento. La luce si spostava ritmicamente nel gelido appartamento di periferia in cui vivevamo.
La sera era già calata. Con quel poco di luminosità che c'era di giorno di notte il salotto era un baratro di oscurità.
Nicole era chiusa in camera sua. In solitudine con la sola compagnia dei suoi libri.
Anche io dovevo mettermi a fare i compiti. Il giorno seguente avevo in programma una verifica di matematica.
Ma non ci riuscivo.
Papà era di nuovo fuori. Come ogni giorno. Come ogni sera. Non me la sentivo di andare a dormire senza averlo visto sano e salvo. O almeno salvo.
La porta di casa si spalancò di colpo. Dal divanetto osservai mio padre trascinarsi verso il bancone della cucina.
« Ciao papà. » Lo salutai timida.
Quanto avrei voluto che ricambiasse quel saluto.Lo guardai mentre apriva nervosamente gli sportelli delle dispense, dove era solito tenere le sue scorte di birra.
Ne prese una frettolosamente e se la portò alla bocca con violenza. Osservai la sua cartilage andare su e giù ad ogni sorso. In poco più di un minuto aveva terminato la bottiglia.
Rimasi lì, ferma, a guardarlo ansimare pesantemente, sudato e in condizioni orribili. Lo sporco dei suoi capelli si poteva intravedere da quella distanza. Erano mesi che non vedeva una goccia d'acqua con cui lavarsi. Troppo indaffarato a riempirsi le vene di alcool.
« Che hai da guardare, mocciosa? » Biascicò lui.
« Martedì ho la gita. Mi firmi l'autorizzazione? » Chiesi titubante.
Saremmo dovuti andare a Long Island per una escursione tra i campi.
« E spendere dei soldi per simili sciocchezze? Scordatelo! Piuttosto, tua sorella ha preparato la cena!?! »
Nicole e papà avevano litigato. Erano giorni che non si rivolgevano la parola. Più tardi divennero anni.
« No. »
« E perchè non lo hai fatto tu?!? »
« Non so cucinare. »
« Esattamente. Tu non sai fare niente. Tua madre è morta per dare al mondo un essere inutile come te. Ma guardati... »
Sentire simili cose dal proprio padre è orribile. Ma ormai io mi ci ero abituata. Ero a conoscenza dell'odio che provava per me mio padre. Credeva che fossi io la causa della morte della mamma. Ed era così. Ma non direttamente.
Dopo che lei ci ha lasciati lui non si è più ripreso. E ha finito per affondare il suo dolore nell'alcool.
« Perché dici queste cose brutte?!? » Urlai piangendo. « Perché non puoi essere buono con me? » La mia vocina stridula veniva spazzata via dal vento.
« Non posso... »
Non posso...
Non posso...
Non posso...
Sento un colpo alla spalla. Mi accorgo di ritrovarmi di nuovo nell'ospedale. Evidentemente qualcuno deve avermi spinto.
Anna non c'è più. La cerco di nuovo con la speranza che sia ritornata indietro. Ma i miei occhi si soffermano su qualcosa che non avrei voluto vedere.
Vicini tra loro, con i corpi intrecciati e le labbra incastrate ci sono Federico e la stessa infermiera di prima.
SPAZIO AUTRICE.
Scusate il ritardo.
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Dimenticami | Federico Rossi.
FanfictionAshley Watson viene a conoscenza del suicidio di suo zio Iacopo, per debiti di gioco. Sua cugina Anna si trova in una posizione critica, con una vita sentimentale problematica, l'aggiunta della morte del padre la manderà in rovina. Ormai anche lei s...