Sacrifice

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... And it's no sacrifice
just a simple word
It's two hearts living
in two separate worlds ...

Gibbs mi aveva mandato fuori città per qualche giorno, un'azione congiunta con la squadra di Los Angeles per una soffiafa su Rivkin dalle parti loro. Cinque giorni di ricerche ma lui era ancora un fantasma, avevamo però catturato uno dei suoi uomini di collegamento ma farlo parlare era impossibile. Avrei voluto che Ziva lo avesse potuto interrogare con i suoi metodi, magari avremmo ottenuto qualcosa. Rimase, invece, in custodia a Los Angeles ed io tornai a Washington con un pugno di mosche in mano e molta delusione su tutti i fronti.
Non l'avevo più sentita, quando chiamavo faceva rispondere direttamente Nathan così che potessi parlare con lui. Ogni volta era una pugnalata, perchè la sua voce era spenta e triste e la colpa era solo nostra.
Appena atterrato presi un taxi ed andai a casa da loro.

- Tony cosa ci fai qui? - Ziva aprì la porta e mi guardò glaciale.
- Sono venuto per vedere mio figlio, posso? - Il tono della mia voce era gelido al pari del suo. Il dispiacere lasciava sempre più posto alla rabbia. Per le sue reazioni, per quella decisione netta, per quello che stavamo facendo passare a nostro figlio. Nathan arrivò correndo aveva sentito la mia voce dall'altra stanza.
- Resti? - mi chiese speranzoso, ma prima che potessi rispondere Ziva intervenne dicendo che dovevo andare via per lavoro. Sentii una rabbia nei suoi confronti come forse mai l'avevo provata. Mi spaventavano questi sentimenti così estremi, non sapevo da dove venivano. Coscientemente avrei voluto tutt'altro per noi ma come la vedevo e sentivo quella barriera tra noi tutta la rabbia usciva fuori e dovevo contenermi per non esplodere.
Così me ne andai dopo averlo salutato ed aver sentito il suo pianto fuori dalla porta. Capivo che la rabbia che provavo era tutta motivata al sapere che Nathan stava soffrendo per i nostri sbagli, dei quali mi prendevo la responsabilità ben sapendo, però, che non era tutta mia come Ziva voleva farmi pesare.
Ero convinto che avrei combattuto per far sì che le cose funzionassero, ma non vedevo appigli. Non sapevo nemmeno come avremmo fatto a continuare a lavorare insieme adesso.

Arrivai in ufficio la mattina seguente con un gran mal di testa dovuto al fuso orario e alla notte passata in bianco. Tim era ancora in luna di miele e c'era solo Bishop.
- Dove sono tutti? - Le chiesi mentre buttavo lo zaino a terra e accendevo il pc per controllare le mail
- Beh, Tim dovrebbe essere ancora in Europa con sua moglie e Gibbs è da Vance.
- E Ziva? - Non faceva mai ritardo, non sarebbe più andata in missione fuori. Se non era lì vuol dire che c'era stato qualche contrattempo. Ellie non mi rispondeva, era visibilmente a disagio.
- Ehm... Tony, non lo sai?
- Sapere cosa?
- Ziva non lavora più con noi. E' in un'altra squadra, da tre giorni.
- Cosa?
- Lo ha chiesto lei a Gibbs, è in una nuova squadra che dipende direttamente da Vance.
Imprecai mentalmente. Ok, anche io non sapevo come avremmo fatto a lavorare insieme, ma non mi era mai passato per la mente di andarmene per non vederla o pensare che se ne dovesse andare lei. Eravamo adulti e professionisti entrambi, bravi nel nostro lavoro, avremmo trovato un modo per lavorare insieme. Oppure no.
Guardai la foto di Rivkin tra quelle dei ricercati e rividi suo fratello. Anche allora era scappata per non lavorare con me, aveva perso la fiducia, aveva detto. Evidentemente era di nuovo così, non si fidava di me e senza fiducia lei non poteva lavorare, me lo aveva detto. Era chiaro che però la storia non le aveva insegnato nulla, che ancora, nonostante tutto, non mi conosceva o voleva far finta di non farlo. Non l'avrei mai tradita, in nessun modo, ma lei non voleva capirlo.

La vidi passare poco dopo, usciva da un ufficio sul retro e saliva le scale per andare da Vance. Mi stavo per alzare quando arrivò Gibbs a bloccarmi.
- Non sono affari che ti riguardano, Tony. Se dovete parlare di altro lo fate fuori da qui.
Non replicai. Il messaggio era arrivato forte e chiaro per non essere compreso.
Il resto di quella settimana la passai a logorarmi nella rabbia e nella finzione di far vedere a Nathan che andava tutto bene quando la sera lo passavo a prendere all'asilo per passare un po' di tempo con lui. I rientri a casa però erano sempre più difficili e meno gestibili.
- Siamo adulti, sarebbe il caso che ci comportassimo come tali. - Le dissi una sera dopo che come al solito Nathan era scappato in camera sua.
- Non è facile nemmeno per me Tony. Per nostro figlio ormai la cattiva sono io - Disse più triste che arrabbiata.
- Come stai, a parte questo, intendo. - Nonostante tutto non ce la facevo a vederla così. Il volto era tirato e lo vedevo che non era tranquilla, come poteva esserlo. Questo sicuramente non faceva bene nè a lei nè alla bambina.
- È tutto apposto. Stiamo bene tutte e due.
- Bene, almeno questo.
- Senti Tony, sto male per quello che pensa Nathan di me, ma al momento non importa, capirà. Però quando stai con lui, per favore, parlaci e fagli capire che non è colpa sua, lei non c'entra nulla in tutta questa storia. - Ziva chiuse entrambe le mani sul suo ventre come a voler proteggere la nostra bambina da quello che stava accadendo. Era improvvisamente fragile e vederla così era difficile e faceva sgretolare tutta la mia rabbia che diventava di nuovo dolore e tristezza.
- Te lo prometto, lo farò. Domani mattina vengo a prendere Nathan, lo porto allo zoo, gli era piaciuto. Non è un problema vero?
- No, va bene.
- Dopo pranzo lo riporto.
- Certo, non ti preoccupare.
- Bene.
- Bene. Buonanotte Tony
- Buonanotte Ziva.

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