13. Oh my, too deep, please stop thinking

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Harold è veramente carino, mi riempie di complimenti e mi racconta del suo lavoro in Inghilterra.
Quando arriviamo nel suo appartamento sistemo i miei vestiti nell'armadio.
Deve sembrare che io viva lì. Quando ho iniziato a lavorare con lui mi ha portata per negozi a comprare alcune cose da lasciare nel suo appartamento, spazzola per i capelli e cose del genere.
Generalmente i miei clienti vogliono mantenere la riservatezza mentre lui mi porta in giro e a cena fuori e comunque è una brava persona e mi sono chiesta più volte come mai abbia bisogno di pagare me per fingermi la sua ragazza quando potrebbe facilmente trovarne una vera.

«Hai fame?» mi chiede quando finiamo di sistemare le nostre cose.
Annuisco, anche se non ho molta voglia di mangiare, ma so che a lui piace cucinare ed io sono qui per fare qualsiasi cosa Harold voglia fare. Così mi prende per mano e mi porta con lui in cucina. Mi dice di sedermi al bancone mentre lui tira fuori qualcosa dal frigorifero e riprende a parlare mentre prepara qualcosa da mangiare.
In realtà non seguo molto il suo racconto, perché mentre mi parla di qualcosa che ha a che fare con un suo collega a Londra, mi ritrovo a pensare a Frank. Come se fosse perennemente nella mia testa, il pensiero di Frank riaffiora ed io mi ritrovo a vagare nel ricordo di quella serata in cui siamo usciti insieme e a quel bacio, e al fatto che sia sparito per poi ripresentarsi oggi, a come mi ha guardato quando gli ho detto che dovevo andare via, a quando mi ha chiesto se in questi giorni avrebbe potuto chiamarmi, alla voglia che ho di rivederlo, di stare con lui.
«...mi stai ascoltando?».
Harold mi agita una mano davanti al viso, ed io ritorno in me. O in Juliet, in realtà.
«Scusami...».
Lui mi guarda, serio.
Dannazione Frank, esci dalla mia testa ti supplico.
«A cosa stavi pensando?» mi domanda.
Sospiro e provo a sorridere «Niente di importante» mento.
Harold si sporge sul bancone e mi sposta i capelli dal viso, guardandomi negli occhi «Ti ricordi perché sei qui, vero?».
Annuisco.
Certo che me lo ricordo.
Sono qui per essere tua.
Lui mi sorride e mi accarezza la guancia, poi torna a cucinare e questa volta cerco di prestare attenzione alla conversazione.

Ceniamo in cucina, seduti al bancone, bevendo vino bianco e quando finiamo di mangiare Harold mi prende per mano e mi porta al piano di sopra, in camera da letto.
«Ti ho preso una cosa» mi dice cercando nell'armadio. Tira fuori una confezione di Victoria's Secret e me la porge.
Lo ringrazio, cercando di sembrare davvero entusiasta, come se avessi davvero bisogno di un altro completino intimo in pizzo nero.
Lui si siede al bordo del letto e mi tira a sé, iniziando a baciarmi il collo, tirando giù delicatamente le spalline del mio vestito.
Inizia a spogliarmi, gli piace farlo lentamente, riempiendo di baci ogni centimetro di pelle che libera dai vestiti come se fosse una conquista.
Poi i ruoli si invertono ed io spoglio lui, lo libero dalla camicia, dai pantaloni, e lo faccio distendere sul letto per dedicarmi alla sua erezione, e giuro che sarebbe una serata fantastica, sarebbe tutto perfetto, ma non è così perché io non sono io e Harold non è Frank e questa è tutta una messa in scena e siamo qui per i motivi sbagliati.
Ma non posso pensarci ora, questo è il mio lavoro ed Harold mi ha pagata per essere qui ed essere sua e non posso permettermi di pensare. Devo solo soddisfarlo, devo fare quello che mi riesce meglio, e devo farlo come sempre fingendo che mi piaccia.

FRANK

Non riesco a dormire.
Ogni volta che chiudo gli occhi rivedo Samira che sorride a quel tipo con l'accento inglese, il tipo che è andato a prenderla portandole un mazzo di fiori, e se l'è portata via fino alla prossima settimana.
Io non le ho mai portato dei fiori. Forse avrei dovuto.
Avrei dovuto chiamarla e portarle dei fiori e chiederle di passare qualche giorno insieme a me.
O

forse no.
Non so niente. Riesco solo a farmi mille domande rigirandomi nel letto come uno scemo.
Decido di bere una birra, e poi un'altra.

È colpa di Jordan, di tutte quelle cose che ha detto.
Non so nemmeno perché, ma quando è stato qui è stato carino, abbastanza da illudermi che le cose fossero tornate quasi alla normalità tra noi, tanto che alla fine gli ho raccontato di Samira, di Juliet, di come ci siamo incontrati e di tutto il resto.
E lui mi ha detto qualcosa tipo "Come fai a pensare di voler stare come una puttana?".
Ed io gli ho risposto che lui non capisce, e che nemmeno io in realtà ci sto capendo nulla.
E che il termine puttana stona totalmente riferito a Samira.
Ma Jordan ha riso, dicendomi che è questo quello che è, e posso chiamarla escort, prostituta, lucciola, posso chiamarla in qualsiasi modo, ma il concetto non cambia.
Il suo lavoro non cambia.
E secondo lui sono uno stupido a perdere il mio tempo con lei.
Forse è per tutte queste stronzate che non l'ho chiamata.
Forse è per tutte le cavolate che mi ha messo in testa Jordan.
Quando l'ho vista però, oggi, tutte quelle stronzate non avevano davvero più alcun senso.
Samira è bellissima, ed è reale, ed è sincera.
Credo che Jordan voglia solo instillare dei dubbi in me, in modo che io non mi allontani da lui.
Per tenermi sempre al guinzaglio.
Ed è davvero bravo in questo.
Un vero e proprio talento.

Continuo a non riuscire a chiudere occhio.
Non posso dormire prima di aver parlato con Samira.
Voglio sapere come sta. Cosa sta facendo. Se mi sta pensando.
Magari sono solo un illuso, forse commetto sempre l'errore di crederci troppo, eppure ho davvero bisogno di sentirla.
Bevo un'altra birra, poi prendo il cellulare e compongo il suo numero.
Squilla per un'eternità, fino a quando non cade la linea.
Così provo di nuovo.
E poi un'altra volta ancora.
Sento un fastidio nello stomaco. Al pensiero che se non mi risponde probabilmente è perché sta facendo sesso con quell'inglese di oggi.
Mi si contorce letteralmente lo stomaco al pensiero.
Non voglio immaginarla nuda con un altro uomo. Voglio esserci io, con lei.
Provo a chiamarla ancora.
Ti prego, rispondimi.
Bevo ancora. Non posso permettermi di restare lucido.
Provo ancora a chiamarla. Ma al terzo squillo, riaggancio.
Mi sento disperato.
"Sam, rispondimi! Ho bisogno di te".
Invio il messaggio senza pensarci. Fisso lo schermo del cellulare sperando di ricevere una risposta al più presto.

Il suono del telefonino mi sveglia.
Sono le 4 del mattino, e finalmente Samira ha risposto al mio messaggio.
Sento la testa pesante, ma sorrido guardando il cellulare.
"Non posso risponderti. Spero che sia tutto ok. Ti chiamo domani appena riesco a liberarmi. Mi manchi".

Mi riaddormento tenendo il telefono tra le mani, come se servisse a farmi sentire più vicino a lei.

What A Wonderful Caricature Of Intimacy - #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora