14. It's a cruel world for small things/with eyes so curious/you can be happy

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Guardo Harold vestirsi davanti allo specchio.
Stringe il nodo della cravatta, si sistema le maniche della giacca, il colletto.
Poi si volta e si avvicina al mobile accanto al letto. Prende il portafogli e tira fuori tre pezzi da cento, me li porge avvicinandosi al letto, dove io sto seduta tenendomi il lenzuolo sul corpo.
«Tieni, vai a fare un po di shopping» mi dice, dandomi un bacio sulla testa.
Questa mattina ha un impegno di lavoro e fino all'ora di pranzo sarà fuori.
Io prendo i soldi e lo ringrazio.
Non vedo l'ora che vada via.
Stanotte ho ricevuto un'infinità di chiamate da parte di Frank, ed un messaggio, al quale ho risposto dicendogli che lo avrei chiamato appena sarei stata libera.
Così non vedo l'ora che Harold esca di casa, per poter sentire finalmente Frank.
Non ho fatto altro che pensare a lui per tutto il tempo, e più mi dicevo di non pensarci, più la mia mente mi rimandava a lui.
Quando Harold esce dalla porta principale, mi affaccio alla finestra per vederlo salire in macchina ed aspetto che sparisca alla fine della via, e quando sono sicura che sia abbastanza lontano prendo il telefono e compongo il numero di Frank.
Ci mette un po a rispondere, e ad ogni squillo sento l'emozione crescere in me.
Ho voglia di parlare con lui, di vederlo.
Voglio baciarlo.
Quando risponde ha la voce roca e assonnata.
Mi dice che è felice di sentirmi e che vuole vedermi.
Anche io voglio vederlo, e so che forse è davvero un azzardo ma Harold è impegnato per tutta la mattinata, così chiedo a Frank se ha voglia di incontrarmi tra un paio d'ore.
Accetta senza esitazioni, ed io sono dannatamente emozionata.
Mi preparo ed esco di casa.
Passo prima in qualche negozio a spendere i soldi che mi ha lasciato Harold, anche se non ho assolutamente voglia di perdere tempo a fare shopping. Ma lui ha questa fissazione, deve darmi sempre dei soldi extra quando ha qualche impegno, per farmi andare in giro per negozi a comprare profumi e lingerie.
È davvero una cosa carina, e di certo è l'unico a farlo e a preoccuparsi di darmi qualcosa da fare per impiegare il mio tempo nonostante tutti i soldi che sborserá alla fine di tutta questa messa in scena.
Comunque compro qualcosa da indossare stasera per lui, poi prendo un taxi e mi faccio portare all'indirizzo di Frank.

Vive in un quartiere di nuova costruzione, pieno di altissimi palazzi a vetri e giardini condominiali pefettamente curati.
Una volta mi ha detto che secondo lui la palazzina decadente in cui lavoro non c'entra niente con me, che io lì sembro fuori posto.
E la stessa cosa la penso io di Frank e del condominio in cui vive.
È tutto perfettamente pulito ed ordinato, le pareti dipinte di un grigio spento che non lo rappresentano affatto.
Mi chiedo come sia il suo appartamento.
Puoi capire un sacco di cose vedendo la casa di una persona.
Ad esempio il caos che regna in casa mia rappresenta alla perfezione il caos che regna in tutta la mia vita.
Prendo l'ascensore e salgo fino al tredicesimo piano, percorro il lungo corridoio sentendo il cuore battere all'impazzata mentre mi avvicino alla porta d'entrata.

FRANK

Ho un aspetto pessimo e la casa è in disordine. Ho provato a dare una sistemata veloce, buttando via le bottiglie delle birre che ho bevuto ieri sera e svuotando i posaceneri pieni di cenere e mozziconi. Ho fatto una doccia velocissima, per cercare di riprendermi ed ho spruzzato uno di quei deodoranti per ambienti che mi ha portato una volta mia madre quando è venuta a trovarmi rimproverandomi per la puzza di fumo nell'appartamento.
Ora casa odora di fiori e cannella ed è quasi nauseante. Mi guardo intorno maledicendomi per il disordine. Ci sono dischi e fogli ovunque.
Mi allungo verso il tavolino del salotto ma il campanello suona, così lascio perdere.
Mi passo una mano nei capelli cercando di sistemarli e vado ad aprire.

Samira mi sorride ed io sento il bisogno di abbracciarla.
Ricambia l'abbraccio, poggiando la testa sul mio petto, ed io la stringo di più a me, perché averla tra le mie braccia mi fa stare bene. Dannatamente bene.
Le mostro la casa e mi sento in imbarazzo e non so perché.
«

C'è una vista bellissima, da qui» dice guardando fuori dalla vetrata del salone.
Da qui si vede buona parte della città, e lei guarda il panorama e sembra che stia cercando di orientarsi, come se stesse cercando di trovare un punto su una mappa.
«Da qui si vede casa mia» dice allegra.
La osservo mentre lei guarda l'orizzonte affascinata ed è così semplice da sembrare perfetta.
Credo che sia così, effettivamente. Perfetta.
È impressionante come sia così presa dalla città, mentre io posso godere di questa vista ogni dannato giorno, e per me non è altro che un mucchio di case e persone e automobili.
Mi sento un po in colpa. Forse sono diventato quel tipo di persona che non riesce a godere appieno di ciò che ha. Forse è colpa del lavoro, del successo, della carriera. O forse è solo colpa mia.
Ma non voglio essere così. Voglio scatenarmi ai concerti ed ammirare la città dall'alto quando torno a casa.
Voglio guardare il mondo come lo guarda Samira.
Voglio essere felice. Felice delle piccole cose.
Come del fatto che lei ora sia qui, da me.
«Resta qui...» le dico prendendole la mano e facendola voltare verso di me.
Mi sorride, ed io mi perdo nei suoi occhi.
Però scuote la testa «Non posso».
«Devi tornare da quel tipo inglese a prendere il thè delle 5?».
Samira ride, poi mi bacia il collo ed io la stringo a me.
Ci spostiamo sul divano, e ci spogliamo, ci baciamo, ci tocchiamo, e le mani di Samira sul mio corpo mi mandano in estasi.
È una cosa meravigliosa, nonostante io sia stato a letto con lei in quella squallida camera in cui lei non è davvero lei, questa volta è tutto così diverso, emozionante, più eccitante. Perché ora so di non essere solo un altro anonimo cliente, o un nuovo paio di scarpe, o un gruzzolo di soldi per un futuro migliore.
Ora lei è qui con me.
Non per convenienza, non per lavoro, ma per noi.
Non mi dice che non posso baciarla, non gira il viso dall'altra parte quando poso le mie labbra sulle sue, non si tira indietro, si concede, mi porge le sue labbra, le nostre lingue si accarezzano, i nostri corpi si uniscono davvero per la prima volta, perché questa volta è totalmente diversa da tutte le altre, questa volta è unica.

Detesto il fatto che debba andare via, che non possa restare qui con me, guardare un film insieme, parlare, fare di nuovo l'amore.
Si riveste in fretta, e la cosa mi da un po fastidio, ma non dico nulla perché non voglio rovinare l'atmosfera che si è creata tra noi.
Così la osservo mentre si sistema il vestito, mentre si ricompone per andarsene da me e tornare ad essere un'altra.
E mentre si abbassa per indossare le scarpe, la vedo raccogliere dei fogli da terra. Devono essere caduti quando ci siamo spogliati lanciando i nostri vestiti nella stanza.
Guarda i fogli, ed improvvisamente mi ricordo della sera in cui Jordan si è presentato qui con le foto che aveva trovato da qualche parte nei meandri di internet, quelle di me e Samira al concerto, la sera in cui siamo usciti insieme.
Non le ho ancora detto nulla, delle foto e di Jordan, del fatto che sia stato qui, che io sia stato con lui, che è questo il motivo per cui non l'ho cercata dopo il nostro appuntamento.
E mi sento una persona orribile.
Mi porge le foto, credo che voglia chiedermi qualcosa ma non mi dice nulla.
«Siamo venuti bene, no?» dico provando a sorridere, nel pessimo tentativo di sdrammatizzare. Samira continua a guardarmi e a questo punto so che devo dirle tutto.
Così le racconto tutto, anche se non sono sicuro che sia la cosa giusta, perché più parlo, più lo sguardo di Samira sembra spegnersi.
Eppure non riesco a mentirle, voglio essere totalmente sincero con lei.
«Gli hai raccontato tutto?» mi chiede d'un tratto interrompendomi. E me lo chiede con un filo di speranza nella voce, speranza di aver capito male magari «Gli hai raccontato di me, di Juliet...».
Le sue guance si sono colorate di rosso e sembra davvero in imbarazzo.
Le chiedo scusa, perché so di aver sbagliato. Sono un idiota e me ne rendo conto.
Ci ha messo così tanto ad aprirsi con me, a raccontarmi la sua storia, a dirmi il suo vero nome, ed ecco che io rovino tutto parlandone con Jordan come se la privacy di Samira non avesse alcun valore.
Mi sento davvero stupido e meschino.
«Avrei preferito che evitassi di parlargliene» mi dice dopo un lungo attimo di silenzio.
Mi scuso di nuovo, lei mi sorride, forse finge che sia tutto ok, non riesco a decifrarla.
Mi da un bacio prima di andare via, promettendomi che verrà a vedermi suonare con suo fratello al concerto della prossima settimana.
Non le chiedo se riusciremo a vederci prima di allora, perché ho paura che mi dica di no.

What A Wonderful Caricature Of Intimacy - #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora