Omissione di soccorso

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Mi svegliai spossata e inquieta, in una domenica di fine Maggio stranamente fredda e umida.

Erano soltanto le 7.00 e non ero per niente riposata. I miei dormivano ancora.

Riaddormentarsi era un'impresa, con il chiasso che c'era. A quell'ora spesso bazzicava per il quartiere un pover'uomo, che sventolando un giornale gridava: "Prato città dello sconforto; o piove, o tira vento o suona a morto!"

Come glielo spieghi, questo proverbio, ai giovani pratesi? E lo sconforto, come lo affronti? Al diavolo pure quello, ahimè. Facciamo finta che non esista.

Accesi il computer e diedi un'occhiata a Notizie di Prato, la testata giornalistica che ormai da tempo mi forniva la dose quotidiana di amarezza, ma anche le sventure di questa città potevano riempire il mio vuoto solo per un tempo limitato. Cos'è che poteva davvero colmarlo? Avevo sentito dire che l'amore era un ottimo rimedio.

"Allora va bene, amore sia." pensai tra me e me.

Fu così che presi la nefasta decisione di far visita a Raimondo.

Mi presentai sotto casa sua tutta tremante, eccitata e speranzosa. Via della Fonderia risplendeva nel suo fascino provinciale, i palazzi vegliavano sui viandanti primaverili, la vita si specchiava nei cocci di bottiglia sparsi sull'asfalto.

Come nelle peggiori love stories americane, presi un sassolino e lo lanciai contro la finestra della camera del mio amato.

Dopo poco tempo Raimondo si affacciò, assonnato e rancoroso allo stesso tempo, stropicciandosi gli occhi.

"Ancora tu? Ma sei impazzita? Mi spacchi il vetro!"

"Ciao caro, come stai?"

"Stavo dormendo. Ho avuto risvegli migliori."

"Scusa, caro. Ti volevo solo dire che mi ha chiamato una certa Melanie Wellington. Mi ha detto che tu le hai dato il mio numero."

"Sì, Melanie è una mia amica, l'ho conosciuta con lo scambio culturale. Voleva qualcuno del giornalino scolastico e tu eri l'unico contatto che avevo."

"Lo immaginavo. Per ringraziarti della fiducia ho scritto una piccola poesia per te. Sì, l'ho scritta io... proprio io in persona!"

"Gentilissima, ma non mi interessa. Vai a casa."

A quel punto tirai fuori il foglio dalla tasca e cominciai a declamare.

"Viviamo, mio Raimondo, e amiamo,

e i rimproveri dei vecchi severi

non stimiamoli tutti neanche un soldo.

Il sole può tramontare e ritornare:

quando cade per sempre la breve luce della vita, noi

dobbiamo dormire una sola interminabile notte.

Dammi mille baci, poi altri cento,

poi altri mille, poi per la seconda volta cento,

poi altri mille ancora, poi cento.

Dopo, quando ne avremo dati migliaia,

confonderemo il conto, per non sapere,

o perché nessun maligno possa invidiarci,

sapendo che esiste un dono così grande di baci."

Raimondo si portò una mano alla fronte, amareggiato.

"Ada, davvero pensi che io non conosca questa poesia? Ma per chi mi hai preso?"

"No, ti sbagli, mi sono liberamente ispirata a un componimento di Catullo, ma è tutto farina del mio sacco... I buoni artisti copiano, i grandi rubano!"

"Senti, Ada, io torno a dormire..."

Dovevo inventarmi qualcosa, qualche procurato allarme per farlo rimanere. Idea! Potevo soffrire d'asma, come il grande Che. Caddi in ginocchio sul marciapiede e cominciai a tossire, a fingere di soffocare.

"Oh no, di nuovo l'asma." Dissi con pessima recitazione, tra una finta convulsione e l'altra.

Alla finestra si affacciò anche la sorella di Raimondo. I due si misero a borbottare.

"Raimondo, vai ad aiutarla."

"Non ne ho la benché minima intenzione."

"E se poi muore qui sul marciapiede e ci accusano di omissione di soccorso?"

"Ma sta palesemente fingendo, non lo vedi?"

"Lo so, ma non abbiamo modo di esserne sicuri!"

Nel frattempo recitare stava diventando veramente faticoso, e i polmoni cominciavano a farmi male per davvero. Mi rendevo conto di aver fatto una cattiva mossa, ma ormai era tardi per rimediare.

A un tratto la porta si spalancò e vidi Raimondo che si avvicinava con una siringa in mano, cieco di rabbia.

"Vieni tesoro, ti faccio un'iniezione di cortisone!"

"Oh, oh, Raimondo, rimaniamo in toni amichevoli..." Smisi di tossire, scattai in piedi e mi misi a correre.

I vicini, nel frattempo, si insospettivano.

"Bada lì che casino! Non sarà il caso di andare a vedere?"

"Lasciali fare, sono cose fra ragazzi...."

"Ma se si stessero menando o qualcosa?"

"Lo abbiamo fatto tutti da giovani."

"Io no, veramente..."

Raimondo tentava di inseguirmi e presto mi feci raggiungere volontariamente, perché non volevo che il ragazzo si affaticasse o rischiasse di inciampare per colpa mia. Lui mi afferrò per il colletto della camicia e mi minacciò puntandomi la siringa contro. Poi, dopo avermi guardata negli occhi per qualche secondo, lasciò la presa.

"Tu stai male, Ada. Hai bisogno di farti vedere da un professionista."

"Ora, non esageriamo..."

"No, sul serio. Lo dico per il tuo bene. Me ne sono accorto solo adesso, che ti vedo da vicino. Scusa se ho reagito così male, non pensavo..."

"Ci sono stata una volta, dalla psicologa: mi ha detto che sono troppo idealista. Sicuramente non era una compagna!" gli risposi col sorriso, alzando timidamente il pugno sinistro.

"Ascolta, ti riaccompagno a casa. Sennò qui davvero io ci passo dei guai, sono maggiorenne."

"Lei credeva in un puro ideale, nel riscatto di tutte le masse, al compromesso borghese e alla pace sociale opponeva la lotta di classe... " mi misi a canticchiare. Nel frattempo Raimondo, nonostante indossasse ancora il pigiama e le pantofole, mi prese a braccetto e cominciò a riportarmi sulla via di casa.

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