CAPITOLO QUINTO

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"Cazzo!" fu la prima cosa che disse Frank guardando la ferita da cui continuava a sgorgare sangue.

"Ma che diavolo è successo qui?! Non posso girarmi un attimo che qualcuno combina un casino" La barista sembrava davvero arrabbiata. "Ma come diavolo hai fatto a farti quel taglio da solo? Sei proprio un idiota, lasciatelo dire ragazzino" sbraitò quella, lanciandogli sgarbatamente uno strofinaccio da cucina in cui avvolgere il braccio.

"Sei proprio un idiota, lasciatelo dire ragazzino" le fece il verso Frank imitando la faccia della donna, appena quella si fu voltata. Non riusciva proprio a capire perché tutti continuassero a chiamarlo 'ragazzo' o 'ragazzino' quel giorno.

"Non me lo sono fatto da solo, pezzo di idiota" le rispose Frank quando quella si mise a fissarlo. "Non sono mica il tipo di coglione che stringe il bicchiere così tanto da romperselo in mano, sai? È stato quel tizio seduto qui a rompermi il tuo prezioso bicchiere addosso" disse Frank, indicando il posto a sedere accanto al suo.

"Il bel ragazzo in giacca e cravatta?"

"Sì sì, proprio lui, esattissimamente" annuì Frank. Era ancora visibilmente ubriaco, il che era avvalorato anche dal fatto che non riusciva a togliersi quel sorrisetto dalla faccia.

"Certo, certo. Vattene a casa ok? Penso che per stasera tu abbia bevuto abbastanza" La donna sembrava molto seria, perché rimase lì a fissarlo con le sopracciglia alzate fino a quando Frank non si alzò dallo sgabello. Fissandola negli occhi, tirò fuori qualche moneta dalla tasca, le buttò sul bancone e tenendosi il braccio stretto nel panno, uscì dal locale.

L'aria fredda della notte ebbe un effetto rigenerante su Frank, che riuscì a riacquistare un po' di lucidità. Il sangue continuava a uscire, rosso e caldo, colava sul braccio e inzuppava tutto il cappotto.

Doveva assolutamente riuscire a bloccare l'emorragia, o si sarebbe dissanguato. Strinse lo straccio più forte che poté intorno al braccio, vi fece un nodo e si incamminó velocemente verso il motel.

Arrivato a metà strada, si rese conto che il sangue non avrebbe smesso di uscire, la ferita era troppo profonda per rimarginarsi autonomamente. Si guardò intorno in cerca di un ospedale e avvistata un'insegna, cominciò a seguire le indicazioni fino ad arrivare davanti a un edificio piuttosto grande. Esitò un po', ma poi si decise ad entrare, non aveva scelta.

"Scusi, scusi ho bisogno di aiuto"

L'infermiera all'entrata sembrava sul punto di addormentarsi.

"Qual è la sua emergenza signore? " gli chiese sbadigliando.

"Qual è la mia emergenza?! Eccola la mia emergenza!" Frank, che si era spazientito per l'atteggiamento non curante della donna, le appoggiò il braccio grondante proprio davanti, imbrattando volutamente tutto quello che riusciva. L'infermiera per poco non fece un balzo dalla sedia, e si mise a strillare: "Dottor Sandrez! Dottor Sandrez!"

Nel giro di pochi secondi il dottore arrivò di corsa. Vedendo il braccio che Frank continuava a sventolare, lo prese per la giacca e lo trascinò in un'altra sala.

"Si stenda qui, prego" gli ordinò l'uomo indicando una sorta di barella. Frank si sdraiò sul lettino e appoggiò il braccio al tavolino che il dottore gli aveva avvicinato. "Non sarà piacevole" lo avvertì.

Dopo aver pulito e disinfettato la ferita, Sandrez cominciò a cucirla. Mentre era lì steso sul letto, Frank cominciò a ripensare all'accaduto delle ultime ore. Aveva appena saputo che l'azienda in cui lavorava aveva chiuso, e aveva quindi deciso di andare in un bar per cercare di dimenticare per qualche ora tutti i suoi problemi.

Un paio di giorni, tzé! Frank si sentiva molto stupido e anche un po' ingenuo per aver pensato che al capo sarebbero bastati due giorni per rimettere a posto la storia del processo.

SCARDove le storie prendono vita. Scoprilo ora