Capitolo 11

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Il rumore di un tuono mi fecne svegliare bruscamente mettendomi paura, mi tirai subito a sedere e guardai fuori la grande vetrata il sole che stava per sorgere, era passato tutto questo tempo? Stropicciai gli occhi e mi alzai ancora con il cuore che batteva a mille per quel tuono rumoroso.
Ricordavo solo di essermi messa a guardare la TV aspettando che Ethan tornasse a casa, dopo quel litigio mi sentivo maledettamente in colpa. «Ethan?» Lo chiamai sperando che fosse in casa, lanciai uno sguardo in giro e poi mi soffermai sulla TV: era ancora accesa e questo non mi fece sentire meglio, la spensi d'istinto e cercai di sentire qualche altro rumore che potesse appartenere a lui. «Ethan?»  provai a chiamarlo di nuovo ma la risposta che ricevetti fu soltanto il silenzio.
Allora attraversai il corridoio ed entrai in camera sua trovando il letto in perfetto ordine, uscii arrabbiata ed entrai in camera mia trovando anche quella nello stato in cui l'avevo lasciata.
Non era tornato a casa, dove aveva passato la notte? Quella domanda mi mise maggiormente in ansia, era colpa mia.
Cercai subito il mio cellulare e digitai il suo numero che ormai sapevo a memoria, aspettai ma nessuno rispose, solo la segreteria e questo mi fece arrabbiare, perché era sparito? Senza nemmeno lasciarmi un messaggio, voleva farmi impazzire?
Guardai l'orologio appeso alla parete e notai di essere anche in ritardo per il lavoro e a quel punto pensai a Jacob.
E se fosse andato a parlare con lui?
Migliaia di domande cominciarono ad affollarmi la mente, così tante che alla fine decisi di cambiarmi velocemente i vestiti, lavarmi e correre a lavoro, forse lo avrei trovato lì.
Camminai a passo svelto e in alcuni tratti corsi, ero stanca ma ero fin troppo preoccupata per badarci.

Appena arrivai spalancai la porta attirando l'attenzione di alcuni clienti e di Jenna, guardai quest'ultima e poi con passo svelto mi avvicinai. «Hai visto Ethan? Un ragazzo alto, magari ha parlato con Jacob» dissi immediatamente senza pensare bene alla descrizione, mi guardai ancora attorno e vidi tutti fissarmi, Jenna mi rivolse una strana occhiata e poi mi tirò verso la scrivania prendendomi per un polso. «Di cosa parli?» Mi chiese a bassa voce non capendo.  «Non è passato nessuno del genere?» domandai ancora e lei scosse la testa facendomi sospirare, perché doveva farmi stare così in pensiero?
Annuii debolmente abbassando lo sguardo per poi dirigermi verso la mia scrivania, quel giorno di lavoro sarebbe stato più lungo del solito.

Ogni dieci minuti controllavo il cellulare in attesa di una risposta alle mille chiamate che gli avevo fatto.
Forse voleva passare del tempo da solo, ma in fondo era un adulto, perché comportarsi in questo modo? Era da immaturi.
Quando finalmente le mie lunghe ore di turno finirono, cercai con lo sguardo la sua auto, forse era venuto a prendermi, ma, purtroppo, come immaginavo, non lo trovai, perciò scappai letteralmente da lì andando subito a cercarlo.
Andai immediatamente nel posto dove ci eravamo rincontrati dopo un anno di lontananza: l'officina in cui lavorava.
Chiesi a tutti di lui ma risposero solo di non averlo visto senza aggiungere altro, così scoraggiata mi rimisi alla fermata di un autobus aspettandone un altro che mi avrebbe portato vicino casa dei miei, forse non lo avrei trovato lì, ma io decisi di controllare ugualmente.

Non chiamai i miei per chiedere notizie quando non lo trovai nemmeno lì, non volevo farli preoccupare, magari era da un suo amico che non conoscevo, magari stavano parlando dell'incasinata situazione che avevamo, del nostro imbarazzo accumulato dopo quel bacio.
Avevo le idee troppo confuse, non sapevo dove andare.
Sentivo solo paura di averlo perso per sempre. Se fosse andato via? Scappato da me e da nostro figlio?

Lì tra quei vialetti dove passavo le giornate da bambina lo cercavo senza trovarlo, allora la paura cominciò a salire dentro me fino ad attanagliarmi il cuore.
Una sensazione orribile, le gambe sembravano cedermi, socchiusi gli occhi e un attimo dopo sentii una lacrima rigarmi il viso, stavo cedendo, istintivamente mi toccai la pancia e quel gesto mi fece tornare in me, non potevo cedere, non potevo,  dovevo proteggere il mio bambino e ritrovare Ethan, non potevo averlo perso davvero.
Camminai velocemente e presi un ultimo autobus che mi riportò a casa mia, casa nostra. Lì avrei cercato qualche indizio su posti che aveva frequentato in quel mese passato distanti e poi sarei andata dalla polizia.

Tornai a casa dopo poco per fortuna e carica d'ansia rientrai liberandomi immediatamente della mia borsa per poi gettarla sul divano.
Pensai al casino che avevo in testa e poi superai la televisione convinta di entrare in camera sua per cercare qualcosa che mi riportasse a lui, arrivai quasi al corridoio quando lanciai uno sguardo a terra vedendo le sue scarpe, allora mi bloccai, c'erano o non c'erano prima che io uscissi di casa quella mattina? Alzai leggermente le sopracciglia e mi sforzai di ricordare, quando dall'altra parte della casa sentii un rumore che mi fece diventare il cuore ancora più pesante, era lui? Era tornato?
Cercai di trovare un po' di coraggio e speranza che avevo smarrito durante la giornata per poi dire quasi a voce alta: «Ethan?»

Una ragione per amarti 3 - resterai? Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora