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Finalmente ero davanti al portone del mio condominio.
Appena aprii la porta, una forte puzza di bruciato riempì le mie narici.
"Spero non venga da casa mia.." pensai, ma appena aprii la porta vidi mio padre stravaccato sul divano nonostante l'odore fortissimo venire dalla nostra cucina.
"Ciao papà.." dissi, non interessandomi alla puzza.
Finché non vedevo la casa andare a fuoco e mio padre urlare non mi sarebbe fregato.
" Volevo prepararti il pollo...sai che non sono molto bravo nelle cose più difficili.." disse con tono di scuse.

11 anni.
Erano passati undici anni da quando mia madre decise di lasciarci soli, senza spiegazioni, né saluti. Ricordo ancora che quella mattina mi aveva preparato il pranzo per andare a scuola, e il pomeriggio, ritornata insieme a mio padre a casa, il salotto era vuoto: niente più musica classica che metteva sempre quando era sola, niente libri di fai da te sparsi per casa, niente vestiti nel suo armadio, solo un piccolo post-it con scritto "questa vita non fa più per me".
Capimmo subito che era scappata, scomparsa, senza lasciare tracce, andò via, sembrando quasi che lei fu solo frutto della nostra immaginazione.
Lasciò una figlia di appena sette anni, sola, in preda alle sue improvvise crisi di panico e i primi accenni del suo disturbo, e un uomo, che prima di quel giorno, non aveva mai preso in mano una padella, non aveva mai realmente aiutato in casa, cambiando radicalmente e diventando, per me, anche una mamma, cominciò a scusarsi per ogni cosa, quasi fosse in colpa del fatto che non aveva saputo tenere a sè la madre di sua figlia.
Per anni soffrii molto su questo: tutti i miei amici giravano il dito nella piaga, dicendo che la colpa era solo mia, che se mi fossi comportata da bambina normale lei sarebbe rimasta.
Dopo 11 anni, ricordo appena il suo volto, i momenti passati con lei sono così lontani e sfocati da sembrare un sogno, mai accaduti.

"Non ho fame.." dissi, pensando che qualche ora dopo sarei dovuta andare dallo psicologo.
Mi diressi in camera e guardai l'ora: dovevo assolutamente prendere le medicine, non volevo proprio che prendesse il sopravvento qualcun altro.
Mi buttai sul letto, sfinita per la giornata di merda che avevo avuto: la professoressa di chimica mi aveva informato sul fatto che mi avrebbe rimandato, i miei compagni continuavano a prendermi in giro..
"Sei carina, ma la tua pazzia rovina tutto, ti fa sembrare un mostro." mi dicevano
"Ti dovrebbero rinchiudere, o sopprimere."
"Tu e il tuo gruppetto di matti non dovreste stare a piede libero."
Premetti la faccia sul cuscino e urlai: dopo anni di insulti stavo quasi arrivando al limite..

Era pomeriggio ed ero appena scesa dall'auto di mio padre, con le cuffiette camminavo verso il grande centro di assistenza per chi ha disturbi mentali, ma, prima che potessi raggiungerlo, sentii una mano stringere il mio polso e portarmi dietro un'aiuola.
"Prova un altra volta a toccarmi e ti cavo gli occhi con un cucchiaio!" gli intimai, guardando i segni delle sue dita sulla mia pelle. Stranamente non provavo quel senso di fastidio al ricordo del suo tocco.
"Wow...che paura." disse.
"Volevo dirti, prima di entrare, che ti saranno date due pillole: la prima prendila, ma, la seconda, nascondila sotto la lingua."
Alzai un sopracciglio.."Senti..io sono venuta qui per farmi curare, non per impazzire ancora di più..Perché dovrei ascoltare un pazzo?" chiesi incrociando le braccia al petto.
"Touchè! Ti spiego dopo." disse, per poi lasciarmi lì dietro da sola.

Entrai, mi sedetti al posto del giorno prima.
"Biondo..." sussurrò il ragazzo accanto a me, per poi attorcigliare una ciocca dei miei capelli tra le sue dita.
"La potresti smettere?" chiesi in modo distaccato, vedendo poi il ragazzo, con un sorriso sghembo, scuotere la testa e cominciando a canticchiare.
"Stella stellina..la morte si avvicina.." canticchiava.
"La filastrocca non fa così.." spiegai, sentendo dei passi avvicinarsi sempre di più in quella stanza bianca.
"Invece si!" urló, "la mia mamma la cantava sempre, prima di mettersi un ago nel braccio.." piagnucolò.

" Ciao ragazzi...oggi, prima di iniziare, volevo dirvi che abbiamo  studiato le vostre cartelle cliniche, e allora da oggi inizierà la vostra terapia." finì, con quelle labbra rosse fuoco contratte in un sorriso falso.
Vidi tutti prenderli con tranquillità, così pensai al perché dovevo ascoltare quel ragazzo dai capelli blu.
Volevo essere salvata..perché impedirlo per ascoltare uno sconosciuto?
Ero confusa e annoiata.
Confusa per tutto, non avevo mai avuto delle vere risposte dalla vita: niente risposte da mia madre, niente risposte sulla mia malattia e sulla piega che avevano preso le mie altre quattro personalità.
Avevo paura di loro, anche se non lo davo a vedere, avevo pausa che potessero prendere decisioni avventate, che potessero smettere di obbedirmi e, in qualche modo, convincermi a smettere di curare me stessa.
Annoiata della vita: volevo un bene dell'anima ai miei amici, a mio padre, ma comunque, dentro di me, sentivo un vuoto che non poteva essere colmato, che mai nessuno potesse colmare.
Mai nessuno avrebbe potuto innamorarsi di una come me, che cambia dal giorno alla notte, che ha paura di se stessa e di ciò che potrebbe combinare, che aveva un carattere di per se troppo distaccato dalla vita, dalla felicità, per essere amato. Odiavo essere toccata, odiavo con tutto il cuore avere dei contatti fisici, eppure non potevo crederci che, per la prima volta in 18 anni, una persona era riuscita a toccarmi senza ricevere un schiaffo.

Arrivò il mio turno.
Giù la prima.
Presi la seconda e la nascosi sotto la lingua, proprio come mi aveva detto Michael.
La donna mi controllò e non notò niente.
Arrivò il turno di Michael e, prima di fare la stessa cosa, mi guardò negli occhi, e io rimasi a fissare quel verde brillante.
Sembrava erba: bella, fresca, che trasmette una strana tranquillità, una di quelle che ti cullerebbe dolcemente ma che poi ti risveglierebbe, ricordandoti che, tra l'erba ci sono anche tante insidie, e io cominciavo a notare le sue insidie.

" Ora ragazzi abbiamo deciso di portarvi fuori, nel cortile, dove potrete fare quello che volete...sempre rispettando le regole." disse, per poi notare tutti gli altri annuire come fossero incantati.
La donna ci disse di metterci in coppia, in modo che nessuno sarebbe rimasto solo.
Michael scelse me e, non appena uscimmo dalla stanza bianca, intrecciò le sue dita con le mie e cominciò a correre.
Stavolta, il suo tocco, non mi provocava un senso di fastidio ma più una strana sensazione che sentivo in tutto il corpo.
"Dove mi stai portando? Sai che non dovremmo uscire da quel limite?" dissi indicando una panchina in lontananza.
"Smettila di pensare e inizia a correre. Goditi questo momento in cui stai infrangendo le regole.."
Così, per una volta non ascoltai il mio cervello, ma le parole di un perfetto sconosciuto...o, almeno per poco..

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