10.

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brooklyn stava seduta sul suo confortevole letto con le lacrime agli occhi e le mani nelle orecchie.
non ce la faceva più, sembrava che la vita si fosse rivolta contro di lei.
e non erano parole dettate da una ragazza ingenua e viziata ma da una ragazza che ormai aveva perso le speranze. i genitori non sprecavano nemmeno un minuto per rinfacciarle avvenimenti che non ricordava.
in più harry, ormai, aveva preso un posto nel suo cuore.
non sapeva perché, in fondo si conoscevano sì e no da due settimane ma, per un motivo a lei ignoto pareva che lo conoscesse da anni.

Brooklyn pov's

«è tutta colpa tua e di quella puttana di tua figlia!» urlò l'uomo che sarebbe dovuto essere mio padre. «vi avrei dovuto uccidere quando ancora lei non era nata, cazzo.» più continuava, più il mio cuore, ormai scalfito da mille delusioni, si spezzava in due.

come poteva mio padre, sangue del mio sangue, colui che aveva permesso la mia nascita, dire queste cose? come poteva desiderare la mia morte? ero davvero così inutile?

non riuscivo più a vivere così, con la consapevolezza d'essere un peso per tutti loro. per mia mamma, per mio padre e perfino per harry.
ero un inutile sasso allacciato ad un palloncino. dovevo cadere per lasciare che il contenuto leggero volasse in aria, libero.

«non ci posso fare nulla se ho dato al mondo un essere del genere!» urlò mia madre.

fu la goccia che fece traboccare il vaso, non riuscivo a sopportare una parola di più. non mi meritavo questo, non mi meritavo una vita del genere.
presi carta e penna e scrissi una lettera per Rose e Joseph.

"Cari genitori,
non so davvero se vi posso definire tali. insomma, avete espresso più volte il vostro odio nei miei confronti. mi ritenete la causa del vostro dolore, un punto nero nella vostra vita. forse avete ragione, forse sono davvero una nullità, forse sono tutto questo. non valgo nulla, ne per voi, ne per harry e a questo punto nemmeno per me. per colpa vostra sono arrivata ad odiarmi, a non sopportare più nulla di me. mi incolpavo di cose che dio, io non mi ricordo. non so cosa vi abbia fatto, ma mi dispiace.
mi dispiace per tutto, per essere nata, per essere una nullità, per essere un essere come dici tu mamma e una puttana come dici tu papà.
fatemi solo un favore, cercate il contatto 'harry' nel mio telefono e chiamatelo. ditegli che mi dispiace, che sono stata troppo ingenua a pensare che lui potesse essere interessato ad una come me. ditegli che lo amo e che, anche se non ci conosciamo la consapevolezza di conoscerlo già da tempo c'è sempre stata.
statemi bene, spero che la vostra vita sia migliore senza di me."

chiusi la busta e la posai sul letto.
presi il vestito più carino che avevo nel mio armadio e lo indossai, almeno sarei stata decente.
prima di prendere l'occorrente per fare tutto ciò che volevo fare presi il telefono e sbloccai harry.

io: mi dispiace per tutto. ti amo, stammi bene harry.

bloccai il telefono e lo posai sul comodino incurante dei messaggi da parte di harry che continuavano ad arrivare, incessanti.
i miei genitori stavano ancora litigando, così ne approfittai per andare in bagno.

era arrivato il momento, finalmente avrei potuto porre fine alle mie sofferenze. portai la mano dentro il cassetto dove tenevamo le lamette.
so che questa non era la soluzione migliore ma, se proprio dovevo morire preferivo farlo adesso. adesso che la mia vita era solo un punto buio.

nel mentre che la vasca da bagno si riempiva sino all'orlo portai l'aggeggio affilato nel mio braccio sinistro e, con un taglio verticale incisi la vena. stessa cosa nel braccio destro. poi con cautela e lentezza, vista la quantità di sangue che stavo perdendo, mi immersi nella distesa trasparente di acqua che, piano piano si colorava sempre più di rosso.
ormai la mia fine era vicina, sentivo i muscoli rilassarsi, il cuore batteva sempre più con meno frequenza e la pelle scendeva ad una temperatura sempre minore.

dopo un pò sentì la porta sbattere e l'urlo disperato di mia madre riecheggiare nel bagno. lei sapeva. non riusciva ad entrare visto che avevo chiuso la porta a chiave, era inutile che si disperasse. era inutile che urlasse e battesse i pugni sulla porta visto ch'era proprio lei la causa delle mie azioni. era colpa loro ed ora, non potevo tornare indietro. stavo morendo, ma andava bene così.

l'unica cosa che ricordai fu il rumore dei cardini della porta che si staccavano e le urla dei miei genitori dentro il bagno. il resto fu buio.

a.n./ capitolo triste e forse un pò troppo cruento, non lo so. non mi piace trattare argomenti di autolesionismo, anche perché sono piuttosto frequenti oramai.
spero che il capitolo vi piaccia lo stesso, bye.

all the love.xx

11:11 p.m.→h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora