Capitolo 52

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Lucas pov

Spensi la radio e permisi al silenzio di avvolgere l'auto, peccato che invece di tranquillizzarmi, martellava più della musica. Sospirai, stringendo il volante. L'aria mi scompigliava i capelli, peccato che fosse troppo afosa e calda per poter raffreddare la mente. Fui quasi tentato di chiudere il finestrino, perché come era entrata l'aria, anche Milano l'aveva seguita. New York era una metropoli enorme, quindi gli unici suoni in strada che avresti potuto trovare, sarebbero stati quelli del traffico. Qui, invece, si sentivano le chiacchiere dei passanti e ogni genere di rumore. Arrivava la musica dalle auto e dalle case, lo sbattere dei panni dai balconi, gli squilli dei telefoni e perfino l'aria che muoveva le foglie. Tutto ciò la rendeva meno grigia e più viva di tante altre grandi metropoli sparse per il mondo. In un altro momento, volentieri mi sarei lasciato travolgere ma ora non ero proprio in vena. D'altronde, avevo dietro una notte completamente insonne. Non avevo chiuso occhi, le parole di Beatrice mi avevano stretto in un pugno e mi avevano tenuto sveglio per tutta la notte. Non avevo avuto sonno, anzi la mia mente era stata fin troppo attiva ma ora quella stanchezza repressa gravava sulle mie spalle, insieme a tutto il resto. Mi sentivo un completo straccio, a pezzi.Non sapevo cosa stesse succedendo ma avevo come la sensazione di essermi perso, non possedevo più il controllo della mia mente e del mio corpo. Perfino, adesso, non sapevo dove stessi andando, mi lasciavo guidare. Avevo provato a scacciare i pensieri ma i rumori non mi avevano aiutato, anzi sembravano sortire l'effetto apposto, li aveva fatti gridare di più, neanche il silenzio, poi, era riuscito a calmarmi. Era come se fossi da tutt'altra parte e probabilmente sapevo già dove. Là dove ero rimasto per tutta la notte. Alzai lo sguardo sullo specchietto retrovisore e la mia attenzione si posò su una BMW serie 6 Gran Coupè, nera metallizzata, dietro di me, stranamente famigliare. Non tutti potevano vantare un auto del genere, soprattutto per le vie del centro. Macchine del genere si contavano sul palmo delle dita. Lessi velocemente la targa e piegai le labbra in un mezzo sorriso, ridendo a come la sfortuna sembrava avermi trovato, mentre l'auto accese i fari, invitandomi ad accostare. Girai ed entrammo nel parcheggio di un piccolo MiniMarket. Spensi il motore e scesi dall'auto. La portiera della BMW venne aperta e Trent, uscii, accostandosi ad essa. Alla sua vista mi sforzai di non deglutire e da come mi guardava sembrava non proprio felice di vedermi. L'azzurro dei suoi occhi si fece più intenso e scuro, le sue iridi si erano fatte più sottili e la sopracciglia erano arcuate. Era rigido, la spalle contratte, la fronte aggrottata e la vena sul suo collo sembrava pulsare. Le labbra erano strette in una linea severa
"Seguimi"ruggì, fortificò la presa intorno alla portiera e mi sembrava quasi di sentire le nocche, scoppiare. Rientrò in auto e feci lo stesso. Sarebbe stata una giornata piuttosto dura. Feci rapidamente inversione a U e lo segui. Feci ben attenzione a rimanere dietro di lui per tutto il tragitto fino a casa e fermai l'auto accanto alla sua, quando arrivammo. Tra di noi non volò una parola, ad attenderci, c'era un silenzio teso, presente anche quando entrai in casa. Mi guardai intorno, non si udiva nessun suono, quindi a parte noi due, era completamente vuota, non sapevo se fosse stato meglio oppure peggio. Trent entrò nel suo studio e lo seguii. Con le parete in legno, il parquet in wenge scuro, l'imponente libreria al lato, le comode poltrone in velluto e la scrivania in vetro, era sempre stato un dei miei posti preferiti. Da piccoli, io, Ian e Marianne avevamo passato ore in quello studio, a fingerci adulti. A quei tempi tutto sembrava così facile, anche i litigi, i problemi, apparivano così semplici da risolvere. Era in momenti come questi che invidiavo il passato. Mi fermai dinanzi alla scrivania, difronte a lui. Con la coda dell'occhio, lo seguii mentre si allentò la cravatta grigia e lasciò libero il collo, sbottonando i primi bottini della camicia bianca
"non sono il tipo che gira attorno alle cose, quindi andrò dritto al punto, Lucas"si accigliò, conoscevo Trent e sapevo che le sue parole non erano mai false, oppure ingigantite, o da poter prendere alla leggera. Il tono era gelido e sembrò far abbassare incredibilmente la temperatura nella stanza "Beatrice mi ha raccontato della tua storia con Marianne"si sedette sulla poltrona, guardami con una certa avversione, era ammirevole con quanto amore cercavano di proteggerla. Nessuno avrebbe mai potuto desiderare una famiglia migliore, era davvero fortunata ma questa volta non mi sarei tirato indietro. L'avevo fatto molte volte e non intendevo ripetere lo stesso errore. Inizialmente, pensavo che stare con lei fosse un'errore ma mi sbagliavo. Stare lontano da lei, permettere a tutto il resto di mettere la parola fine alla nostra storia, senza fare qualcosa, questo era il vero sbaglio. "Direi che ero stupefatto era un eufemismo, mai avrei pensato a qualcosa del genere. Quando un anno fa, ho permesso che Marianne andasse da sola a New York, era perché sapevo che non sarebbe stata da sola, che la nostra famiglia l'avrebbe protetta...che tu l'avresti protetta!"la sua voce salì di un'ottava e la sua espressione divenne più rabbiosa "A 19 anni, cazzo, non è un giocattolo"tuonò. Strinsi i pugni, mai e poi mai avrei trattato Marianne come un giocattolo. Ricambiai il suo sguardo duro, ero scocciato, tutta quelle storie mi stavano soltanto stancando. Aprii la bocca ma lui non mi diede tempo di parlare, ero cosciente che a differenza di Beatrice, molto più ragionevole, Trent era piuttosto impulso,lasciandosi andare facilmente andare ai sentimenti "Non sono mai stato un uomo in grado di controllare la rabbia, oppure di essere razionale quando ci sono in gioco le persone che amo. Quindi, prima che tutta questa faccenda finisca male, stronca questa cosa sul nascere!".

Amami, ti prego 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora