Capitolo 49

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L'aeroporto era incredibilmente affollato, fiumi di gente camminavano, c'era chi tornava e chi partiva, ognuno spinto da un sentimento differente. Una musica scivola dai sottofondi, diversa ad ogni passo mentre le chiacchiere e i mormorii creavano una specie di disordinata orchestra che nella loro confusione era perfettamente armoniosa. Non ti sovrastava e allo stesso tempo non ti faceva sentire la sola a compiere quel passo.
Un ragazzo corse trafelato, verso le scale, ottenendo le imprecazioni della gente quando le sue spalle strattonavano gli altri ma lui sembrò non udirle. Continuò a correre con il respiro affannoso e una certa urgenza nello sguardo ma con un sorriso, di chi era in trepida attesa di qualcosa di emozione. Sorriso che si ampliò, quando finalmente raggiunse le scale mobili, stringendo il passaporto, pronto a partire, con una tale gioia di chi stava per trovare la sua strada. Un uomo, seduto in un bar,invece, guardava tristemente l'aereo che stava appena decollando mentre affogava la sua sofferenza in un bicchiere, rimpiangendo silenziosamente, come chi aveva lasciato volar via le proprie speranze. Una donna sorrideva al madre che piangeva e si lasciò abbracciare da lei. Le disse qualcosa all'orecchio, rassicurandola a bassa voce e fortificò la presa. Non vi era tristezza nel suo sguardo ma una dolce euforia mentre lasciava che il calore della madre le si imprimesse sulla pelle per accompagnarla nel suo viaggio. Un padre con il borsone in mano, scendendo le scale mobili, corse da sua figlia e si illuminò quando lei lo strinse. La sollevò e constatò quando fosse cresciuta, quanto le era mancato il suo volto ma soprattutto la nostalgia provato per l'assenza della sua risata.
Non importava, chi era e qual'era la tua storia, alla fine, tutti passavano da lì per raggiungere o lasciare quel posto.
Ian afferrò i nostri bagagli e mi diede il borsone più leggero. Finalmente, ero a casa ma quanto in passato avevo immaginato questo momento, le sensazioni che avevo pensato erano molto differenti. Mi sembrava di essere contemporaneamente quell'uomo seduto in bar e quel ragazzo che era corso per prendere il suo aereo. Un aereo che avrebbe potuto alimentare le mie gioie e le mie speranze che questo luogo calpestava. Avevo passato le tante ore in aereo, tutte allo stesso modo: con un grandissimo peso sul cuore. A fatica ero riuscita ad addormentarmi su quei sedili e ogni volta avevo la snervante sensazione di voler urlare e di alzarmi, non riuscivo a rimanere seduta. Volevo scendere, tornare da lui. Era stato davvero terribile e neanche le brevi chiacchiere con mio fratello, erano riuscite a distrarmi, anche erano dei passi avanti. Con un sospiro, afferrai il borsone mentre lui metteva a terra i due trolley e mi guardai attorno. Soltanto adesso mi rendevo conto che effettivamente era la prima volta che osservavo sul serio un aeroporto, che facevo attenzione alla gente che passava, ai loro volti e mi immedesimavo in molte espressione nostalgiche. Soltanto una cosa riusciva a confortarmi leggermente, ovvero che ero qui, che ero tornata a casa. Da lontano, scorsi una folta capigliatura nera correre nella nostra direzione e prima che potessi mettere a fuoco la sua immagine, James Ryan si precipitò tra le mie braccia. La borsa mi cadde mentre lo strinsi, meravigliandomi di quanto fosse diventato incredibilmente alto. Tra un po' avrebbe compiuto tredici anni ma giù raggiungeva la mia altezza, infatti tra tutti e tre, era sempre stato il più alto. Alzò il capo e osservai quegli incredibili occhi verdi
"tu non dovevi essere al Campus Estivo?" scrollò le spalle senza lasciarmi, James era sempre stato il cocco mio e di mia madre, l'avevamo sempre coccolato fin d bambino, ero felice di rivederlo

"sono andato via, prima, erano tutte cose già fatte, mi annoiavo, quindi ho pensato perché non restare qui e divertirmi con i miei compagni di classe"a quella risposta, sorrisi, ero contenta che non passava l'estate dinanzi al pc ma che si divertisse con i suoi amici. James non attaccava bottone molto facilmente, era molto introverso, quindi più riusciva ad aprirsi e meglio era lui. "Mi hai portato il tablet che ti ho chiesto?"si girò verso Ian
"quello al compleanno e niente storie"gli scompigliò i capelli, sorridendo. Da lontano, sentii alcuni voci chiamare i nostri nomi e non appena li vidi, mio fratello mi lasciò, per mettermi di correre da loro. Quando finalmente mi precipitai sui loro petti, mi resi conto quanta nostalgia avevo provato, stando lontano da casa. Affondai nel dolce petto di mia madre ed improvvisamente tutta la stanchezza tornò a galla. Avrei voluto far scivolare quelle lacrime, farmi accarezza il viso da lei e sentirmi dire che qualunque cosse fosse accaduta, lei mi sarebbe stata sempre accanto ma non potevo farlo. Questa volta avrei lasciato che quel piccolo segreto fosse stato mio, lasciandomi logorare lentamente. Tra e mia madre non c'era mai stato spazio per i segreti, lei era la prima confidente oltre a Emily, era impossibile non parlare con lei e ciò faceva terribilmente male.
"sei mancata tanto anche a me"la voce calda e amorevole di mia madre, nel suo tipico accento italiano, mi fece alzare alzare la testa e piegare le labbra in un piccolo sorriso mentre guardavo il suo viso. Aveva tagliato i capelli e adesso quelle onde castane le ricadono appena poco più giù della spalla. Era bellissima, come lo era sempre stata. Posò le mani sulle mie spalle "guardati, il sole degli Stati Uniti sembra averti fatto bene e i tuoi capelli sono diventati ancora più lunghi"avrei dato di tutto per ritornarci in questo momento,

Amami, ti prego 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora