Capitolo 14

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POV TALIA

Sto davanti la porta della sua camera. Sono un po' titubante, non so se entrare o se aspettare fuori. Ma se rimango qua fuori sarei sospetta, mentre se entro...sarebbe la stessa cosa. Ormai sto qui, e non tornerò indietro. Sicuramente vorrà delle spiegazioni, e non ho intenzione di prepararmi uno di quei discorsi mentali che non servono a niente e che tanto poi dimenticherò di sicuro. Al diavolo, io entro nella camera. L'ho visto agitato e DEVO sapere se sta bene, sono venuta qui sopra per questo. Ok, sono dentro e non me lo sono trovato davanti al primo colpo. Un piccolo sospiro di sollievo fuoriesce dalla bocca. Mi incammino circospetta nella stanza ad osservarla, eppure non è la prima volta che ci entro. Insomma, ci ho dormito la prima notte, e non c'è poi molto da guardare perché è vuota. All'improvviso sento la maniglia del bagno scattare e una voce che parla –Che ci fai nella mia stanza?- mi giro per guardarlo, e ha alcune ciocche di capelli bagnate. Per non parlare della sua espressione dubbiosa (e come dargli torto). Wow, non avevo notato che vestito in questo modo è veramente figo. Talia, pensa a cose serie, sei venuta qua per una ragione più importante. Apro la bocca per emettere parola, ma non so cosa dire. Ci penso su un momento e l'unica cosa che mi viene in mente è dirgli la verità. Richiudo la bocca, socchiudo gli occhi per qualche secondo, prendo un respiro e gli rispondo:
–Volevo sapere se stavi bene-. L'ho detto, ho detto la verità. Perché dovrei mentirgli? Ha vissuto nelle bugie per anni, perché illuderlo o raccontargli balle? Non sono quel tipo di persona, e non lo farei MAI soffrire. Mi guarda perplesso e si avvicina a me con passo lento. Il mio respiro si fa affannoso, e il mio battito accelera. Dio, perché mi provochi questo ogni volta? Ma rimango ferma sul posto. Ora siamo vicini, a dividerci solo poco passi. Lui si tocca nervosamente le mani, o meglio le fasce, e appena si accorge del mio sguardo che ricade su di esse le rilascia facendole cadere lungo i fianchi. Allora i nostri sguardi si incontrano, io alzo un sopracciglio e gli chiedo –Che ti sei fatto-
-Niente- risponde secco
–Non è vero, ti ho visto agli allenamenti-
-Se lo sai perché me lo chiedi?- ribatte
–Per vedere se mi avresti risposto-. Lo zittisco e non controbatte. Non pensavo di essere così sicura di me e di trovare una risposta così velocemente. Mi stupisco di me stessa. Fa un sospiro rassegnato. Noto che le fasce si sono sporcate di sangue, e andrebbero cambiate. –Posso?- mi faccio coraggio e gli chiedo il permesso di poter prendere le sue mani tra le mie per poterle medicare. Mia madre fa l'infermiera, quindi riesco ad occuparmi tranquillamente di alcune ferite superficiali. Mi fa un leggero cenno di testa come risposta e le prendo tra le mie mani. Sono grandi e forti. Slaccio lentamente le fasce e il sangue continua a sgorgare dalle ferite. James, che mi combini...
-Dovresti usare le protezioni quando dai i pugni al sacco da box- lo rimprovero
-Non ne ho bisogno- mi risponde con tono basso
–Perchè? Poi ti ferisci-
-Non mi importa, ne ho tante di ferite ancora aperte-.
Alzo lo sguardo per guardarlo e i nostri occhi si incontrano: l'oceano che si scontra con la terra. Non so cosa controbattere, perché la sua risposta toccante mi ha lasciata senza parole e con il fiato sospeso al centro del petto. L'unica cosa a cui riesco a pensare nel vedere il suo sguardo indifeso è il perché di tutto questo male. Perché quei bastardi hanno fatto tutto questo a lui? Perché? Con quale coraggio? Bucky non se lo meritava e ora vive, se questa si può chiamare 'vita', con i tormenti e i ricordi. Ricordi orribili che lo abbattano, che lo fanno soffrire e lo fanno star male; ma lui è riuscito a trovare la forza per ricominciare e cercare di ricordare. Non ha mollato,e ha continuato a lottare. E lo so, perché glielo leggo dagli occhi; quegli occhi stupendi che mi tengono prigioniera e che mi raccontano la sua storia con lo sguardo. Rimango fissa per del tempo imprecisato in quella sua bellissima trappola, navigando in quel mare pieno di pensieri alla ricerca di qualcosa. Mi tengono ipnotizzata facendomi provare sentimenti mischiati:pena, compassione, dolore, rabbia, colpa..colpa perché ogni volta che parlo sembra che ogni mia parola riporti a galla i tormenti passati. Ora sento gli occhi pizzicare e le lacrime che cercano di spingere per uscire. No, non devo piangere, non davanti a lui. Non posso aggiungere un altro peso ai suoi pensieri. A malincuore abbasso lo sguardo e spezzo il contatto. Rilascio le sue mani per asciugarmi un po' gli occhi, tiro su col naso e mi riprendo.
–Em..allora...vado a prendere delle nuove fasce- esordisco singhiozzando dirigendomi verso il bagno.
Appena ritorno con tutto l'occorrente per poterlo medicare lo vedo seduto sul bordo del letto, con le mani poggiate lungo le cosce e a guardare il vuoto. Prendo un bel respiro, ancora cupa dopo la risposta che mi ha lasciata spiazzata, e mi dirigo verso di lui. Poggio il materiale sul comodino, lui alza lo sguardo e io gli sorrido, per mettergli sicurezza. Imbevo un dischetto con dell'acqua ossigenata e mi inginocchio per poter iniziare l'operazione.
–Brucerà un pochino- lo avverto prima di posare il dischetto sulla ferita. Lo appoggio appena e lui ritrae la mano, ma la riprendo delicatamente per continuare a disinfettarlo. Il silenzio si fa spazio nella stanza, permettendo di ascoltare I nostri respiri. Sono leggeri, ma il mio battito sembra non avere una pulsazione regolare.

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