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Secondo giorno.

Il secondo giorno che ti vidi passai per caso per quella stradina; davvero non era mio intento vederti. Ero passato perché dovevo andare a prendere un mio amico rimasto a piedi.

Avevo fatto tardi, come al solito, ed arrivai alle 16 in punto fuori quella fermata senza neanche farlo apposta.
Ero in ritardo ma, quando vidi la tua figura incappucciata, non mi importò più.

Esattamente come il giorno prima accostai e ti osservai a lungo: gli occhiali erano gli stessi, dei Ray-Ban neri; la felpa, nera, era larga, si notava perché faceva contrasto con il tuo jeans, nero, che ti fasciava perfettamente le gambe lunghe e magre che ti ritrovavi.

Un leggero venticello fece rabbrividire i ragazzi che ti circondavano, ma per te era stato inesistente.
Non ti eri stretta alla felpa, non avevi messo le mani attorno a quel bicchiere che conteneva chissà quale bevanda.
Eri semplicemente immobile, a leggere e fumare tranquilla, mentre la musica aleggiava nelle tue orecchie.

Ti mordesti il labbro e sbuffasti, ma quel movimento che a molti sembrava impercettibile a me fece sussultare.
Non sapevo perché, ma era la prima volta che ti guardai le labbra; ero sempre troppo occupato a guardare la tua figura piegata sul libro o il tuo viso per la maggior parte nascosto al di dietro delle lenti.
Eppure, in quel momento, quei petali rosei mi fecero sorridere.

Eri poesia.

Non capivo perché la tua figura mi incuriosisse così tanto, eppure non mi doveva importare, no?

Avevo avuto al mio fianco una modella, una donna che vestiva di diamanti, che sfoggiava il suo corpo, non si copriva e mi rendeva orgoglioso di dire: lei è mia.

Guardai distrattamente il tatuaggio sul braccio e sospirai pesantemente.
Perché pensavo a lei dopotutto quello che era successo?!
Perché la paragonavo a te, che eri solo una sconosciuta intravista, per due giorni consecutivi, durante dei giorni bui?

Mi leccai il labbro e diedi un pugno al voltante e tu, come se avessi percepito il mio gesto ti guardasti intorno.
Il tuo sguardo aveva accarezzato la mia macchina ma non te ne importò, abbassasti la testa e continuasti a leggere.

Delle goccioline caddero sul parabrezza e mi fecero intuire che sarebbe venuto a piovere più insistentemente da un momento all'altro.
Ma, esattamente come prima, tu restavi immobile a leggere.

Solo pochi istanti prima del diluvio, posasti il libro mettendolo al sicuro e alzasti il viso, bagnandoti completamente la tua pelle bianca.

Avevo capito che i giorni grigi erano destinati a te, che amavi la pioggia e non ti importava di apparire pazza agli occhi della gente.

Poi il pullman passò, portandoti via dai miei occhi,
ma non dalla mia mente.

Neve || Mauro IcardiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora