Quel giorno si svegliò tardi come era solito fare. Si stropicciò gli occhi e guardò la donna accanto a lui; non ricordava il suo nome. Si alzò dal letto e si infilò le mutante della sera prima lasciate a terra. Si passò una mano tra i capelli castano chiaro mentre; guardando la donna; si domandò come poteva cacciarla da casa sua.Decise di farsi una doccia, magari questa, si sarebbe svegliata e andata via da sola, e così fece; quando Tom tornò in camera grondante di acqua, non la trovò più.
L'odore avvezzo lo infastidì, così apri la finestra lasciando che l'aria del gelido inverno entrasse per pochi secondi. Il suo appartamento era troppo alto per sentire il suono della città, ma gli piaceva ascoltare quella leggera cantilena intorpidita; composta da clacson e voci; che non gli apparteneva fino in fondo.
Richiuse la finestra e si distese sul letto, lasciando che il lenzuolo si bagnasse sotto il suo corpo. Pensò a come la sua vita stava andando nel verso giusto, a come ci era sempre andata e sorrise.
Si recò a lavoro, il lavoro datogli da suo padre. Non era impegnativo, ma essendo ricco si era sempre chiesto a che servisse lavorare, quindi non metteva impegno in quel che faceva. Non l'aveva mai fatto.
Da che ne aveva memoria, tutto gli era dovuto, non aveva mai lottato per qualcosa, figuriamoci per qualcuno e chi l'avrebbe detto che si sarebbe ritrovato a combattere per una donna?
Comunque, quel giorno suo padre lo rimproverò per il suo disimpegno lavorativo; lo tolse dalla sua scrivania in mogano, dal suo officio modero e dall'odore di inceso, che ogni mattina la sua segretaria accendeva; e lo affidò alle strade di New York per condurre un esperimento sociale diviso in due parti. Prima sarebbe stato un uomo ricco; il quale era; che inciampando si ritrovava a terra, per vedere in quanti lo avrebbero aiutato, e poi cambiare vesti, per fingersi un senzatetto, e ripetere lo stesso test.
Disprezzava il suo lavoro, e quello di quel giorno: interpretare qualcuno che odiava: i vagamondo che tappezzavano la metropoli, lo nauseava più del solito.
Armato di trup televisiva, si recò al centro. Nel tragitto non mancarono le tante lusinghe che ogni giorno riceveva dai sui collaboratori, dopo tutto era figlio del capo.
Come previsto nelle vesti di un uomo d'affari tutti si precipitarono ad aiutarlo. Gli sguardi maliziosi delle donne lo lusingavano, lo facevano sentire apprezzato e potente, mentre gli sguardi invidioso degli uomini, lo facevano sentire superiore.
Si cambiò nel furgone a sua disposizione. Guardò gli abiti che doveva indossare e rabbrividì al solo pensiero, quasi sentiva l'odore di quella feccia che li portava veramente tutti i giorni.
Si guardò allo specchio. Gli avevano offerto tanto di capello per interpretare la parte. I capelli castani gli ricadevano sulla fronte, mentre solitamente erano pettinati all'indietro e fermati dalla lacca. I vestiti larghi per una volta lo trasportarono nella realtà in cui molta gente viveva, ma era così lontano da essa.
Cominciò a cadere per le strade della grande città e le persone che prima lo aiutavano ora lo ignoravano, lo disprezzavano come lui disprezzava la persona da cui si era trasferito.
Si stava per rialzare da solo, a fatica, dal gelido asfalto di una città immersa nell'inverno, quando una mano passò sotto il suo braccio e lo aiutò a tirarsi in piedi.
Fu qui che la vide per la prima volta. Gli occhi castani con sbavature celesti che cercavano di liberarsi dal colore più scuro, quasi come i raggi del sole filtrano tra le nuvole nere. Il labbro spaccato, vestita di stracci.
I suoi capelli erano rossi; più tendenti all'arancio; lunghi fine al bacino. Portava un capello di lana blu che le schiacciava la chioma, liscia ma indisciplinata. Vestiva a strati e sulle mani teneva dei guanti logori, vecchi e strappati che le lasciavano scoperte le dite a contatto con il gelido vento. Si erano colorate di blu per il freddo, così mentre lo guardava e gli mostrava il sorriso; e oddio che sorriso; le riscaldava sfregandole tra di loro.
Era l'unica tra tutta quella gente che si era fermata ad aiutarlo. Si riabbassò per raccogliere la finta roba sparsa a terra. Tom quasi si sentiva in colpa mentre la lasciava fare.
Quando ebbe finito, con un altro sorriso, gli offrì un panino; metà panino.
Era magra, troppo magra per i suoi vent'anni, e non aveva nulla, ne una borsa, ne uno zaino, però offrì il suo panino: il suo pranzo e la sua cena, ad uno sconosciuto, perchè così era giusto.
<<Dove sei diretto?>> gli domandò, mentre diede un ultimo morso al pane già nelle mani dell'uomo. Tom rimase in silenzio, <<sei muto?>> chiese ancora con aria beffarda. <<Sei nuovo vero? Se vuoi puoi venire con me>> gli propose, <<che hai fatto a labbro?>> le parole gli fuggirono dalla bocca, la ragazza si passò il dito sul taglio, <<sai come funziona in strada>> sorrise, <<ci vorrebbero dei punti. Ti porto in ospedale>> <<non abbiamo soldi per andarci. Guarirà da solo>> disse mentre gli passò il braccio sotto il suo e lo spinse in avanti, in modo che la seguisse; <<no, io non sono un senzatetto, vedi è un programma televisivo>> ed indicò la telecamera nascosta.
Il viso della ragazza si incupì leggermente, <<allora questo me lo riprendo>> disse sfilandogli il panino dalle mani. Si girò e cominciò a camminare. Tom le afferrò un braccio prima che fosse troppo lontana, <<il tuo nome?>> <<Rosie>> "un nome che le s'addice" pensò Tom.
<<Prendi questo>> le passò il cartellino rappresentativo dell'azienda, quelli che ogni giovedì gli fornivano. Rosie lo prese tra indice e pollice, e mangiando si allontanò.
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La Vagamondo
Short StoryFaceva male; più la guardava e più faceva male. Non credeva possibile questo dolore, un dolore così forte da lacerarlo dall'interno. Come aveva potuto lasciarla andare? Come? Si domandava.