Parte 12

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<<Sei diventata donna Rosie>>.

<<forse lo sono sempre stata>>.

<<Forse hai messo via troppo perso le corse da bambina per inseguire un aquilone>>. 

<<Forse non ho mai inseguito un aquilone>>.

E così, con quella frase sincera e brutale, che trafisse Tom per non essere stato sempre presente nella vita di Rosie, scesero dalla macchina che li aveva portati al The Simons.

Varcarono le porte e entrambi guardarono il punto in cui il corpo di Rosie si era steso per perdere sangue e morire negli occhi di Tom.

Quel giorno era ancora fresco nella mente di Rosie. Il proiettile che dal nulla le trafisse il fianco, gli occhi colmi di lacrime e i suoi passi disperati che cercavano di raggiungere l'edificio. Ricordava come si era imposta di non morire, di sopravvivere o almeno di non morire in strada.

Un lungo brivido le percorse la schiena e la fece tremare. Tom le cinse le spalle e la portò via da quel ricordo ancora vivo in lei; ad anche in lui. Perché ora, con il senno di poi; Tom non poteva più ricordare Rosie immersa nel suo stesso sangue. Gli faceva male quell'immagine.

Così, entrambi, si allontanarono.

La festa era sull'attico. Almeno Rosie non si sarebbe sentita sola, avrebbe guardato le stelle se ne avesse sentito il bisogno.

Appena le ante dell'ascensore si aprirono, quella specie di magia mista a illusione investì Rosie. Lei non era mai stata ad una festa, o almeno, non ad una festa del genere; quel genere di festa in cui sembrava che il concetto di "grande" predominasse. Tutto era enorme, a partire dalla brocca in argento che conteneva il cocktail, al seno dalla signora sulla sessantina che si strusciava contro un giovane in carriera.

Quella sera anche la luna si era fatta immensa per l'occasione.

Quando Tom la tirò leggermente, Rosie si rese conto che come lei guardava gli invitati, loro guardavano lei e Tom.

Li guardavano camminare e forse per invidia o davvero per curiosità; chi può dirlo; si domandano se finalmente, il giovane scapolo Timoty Simonson, avesse trovato la sua compagna.

Gli sguardi su Rosie non erano indiscreti, tanto pesanti da metterla a disagio ma trovò riparo nella mano di Tom che strinse forte.

Lo sguardo dell'uomo la rasserenò e non sentì il bisogno di guardare in alto, verso le stelle; forse; per la prima volta.

Tom le porse un bicchiere con l'alcol che sapeva di fragola e zucchero; tanto zucchero. Rosie era abituata all'alcol, lo reggeva bene; meglio di molti degli invitati che, anche se la serata era appena iniziata, erano già ubriachi.

Rosie non se l'aspettava così una festa di imprenditori. Li pensava più ingessati, in giacca e cravatta, a parlare di come attuare quell'impresa per raggiungere l'affare.

Si appoggiò al cornicione e guardò giù. Avrebbe voluto dire che da quell'altezza si sentiva più al sicuro, per quanto era lontana dalle strade fredde di New York, ma in realtà si sarebbe sentita più al sicuro la sotto che in quest'attico.

Tornò a contornare la mano di Tom.

Tom le passava il pollice sulle nocche. Quanto erano liscie, così morbide che immaginò come deve essere il resto del corpo di Rosie. Voleva toccarlo, sfiorarlo, baciarlo, morderlo.

La voleva nuda sotto di lui. La voleva sentir fremere e gridare il suo nome. Voleva vederla raggiungere il limite. La voleva e basta.

I desideri così come apparivano, così scomparivano. Li tratteneva e annientava perché non poteva toccarla e si sentiva sporco quando ciò avveniva.

<<Posso farti una domanda?>> disse Rosie, togliendo dalla testa di Tom il suo corpo nudo, <<perchè Tom? Perché non Tim>>. Tom sorrise prima di rispondere, ma il suo era triste e freddo, <<Timoty fu il nome che mi diede mia madre. Mio padre non l'ho mai accettato. Tom è più da uomo>>.

Rosie si avvicinò e si appoggiò leggermente a lui, comprendendo come anche l'infanzia del ragazzo non era stata semplice.

Tom le prese il viso tra le grandi mani, e si avvicinò ancor di più. Le passò il pollice sulle labbra socchiuse levandole parte del rossetto.

Se solo fossero stati soli, solo lui sa cosa le avrebbe fatto.

Guardò quei suoi occhi che le rispecchiavano l'anima e provò l'irrefrenabile voglia di baciarla, ma non lo fece.

<<Ecco mio figlio>> quelle parole fecero allontanare leggermente i due corpi, <<Peter>> sorrise falsamente Tom, mentre teneva stretta la mano di Sam.

Peter era ubriaco. Lo si poteva capire dall'alito acre che arrivava alla narici mentre parlava.

<<Ti ha reso più umano è!>> disse Peter rivolgendosi al figlio. <<Guardati. Guardatelo! Per mano a una senzatetto!>> esclamò ridendo e catturando l'attenzione dei presenti.

Tom si guardò la mano e lasciò la presa. <<E tu non sembri più tanto povera con i miei soldi eh?>> disse Peter facendo scorrere da prima le dita sul vestito nero per poi arrivare ai capelli e giocarci.

<<E' ora di tornare in strada ragazzina>> Peter disse accompagnando le parole con una fragorosa risata.

Rosie guardò Tom e capì che si vergognava della situazione in cui lo aveva messo un padre alcolizzato, che non era mai stato in grado di prendersi cura del figlio. Capì che si vergognava di lei. Capì che il mese era finito. Capì che potevano essere amici solo nelle mura di un'appartenuto al diciassettesimo piano di un palazzo, a New York.

Capì che ora sarebbero tornati vagamondo e imprenditore; umile e viziato.

Capì che era finita. Capì che forse non era mai iniziata.

Rosie guardò Tom e sorrise, perché non poteva portargli rancore. Per un mese l'aveva fatta stare bene, l'aveva fatta sentire a casa, la stessa casa che sognava da bambina e che non aveva mai avuto. E Tom non aveva nessuno obbligo nei confronti di Rosie.

<<E' ora che tutti tornino alla realtà>> disse Peter. Rosie lo guardò, <<voi siete così lontani da essa>> pronunciò quelle parole con il sorriso, perché lei diceva la verità sorridendo.

E sorridendo se ne andò.

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