Capitolo 101

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Tre mesi.

Erano passati tre fottuti mesi.

O almeno era quello che mi dicevano Erik e Mike. A me, a dir la verità, sembrarono tre anni, altro che tre mesi.
Ero diventata un vegetale, vivevo di acqua e di cibo per il totale di 500 calorie al giorno, una stronzata per una che ne assorbiva più di tre mila.
Il mio corpo chiedeva un minimo di attenzioni e i miei occhi chiedevano un po' di tregua dalle lacrime.
Passai tutti quei giorni a cercare di non scoppiare a piangere davanti a tutti. Cercavo di non avere una crisi isterica contro il primo poveretto che mi sorridesse. Cercavo di non incontrare i suoi occhi, di non sentire la sua voce e di non stare vicino a lui nell'arco di dieci metri. Cercavo di stare attenta in classe e di studiare a casa, ma mi ritrovavo addormenta sul banco e a piangere fino a notte tarda a casa. Cercavo di mangiare qualcosa, ma non ci riuscivo. Cercavo di parlare con le persone, ma mi ritrovavo con le cuffie e la musica a palla.
Stavo male, talmente tanto che mi sentivo morire.

''Sai che giorno è oggi?'' la voce squillante di Crystal mi stava facendo peggiorare il mal di testa, in più era lunedì mattina e avevo sonno.
''No, Crystal, non lo so'' sbuffai.
Stavo iniziando ad odiare tutti e mi spaventava come cosa.
''È il tre maggio, Emily'' disse quella frase come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
''Ascolta, non puoi parlarmi in questo modo. Ora come ora, non mi ricordo nemmeno il mio nome'' dissi piuttosto infastidita.
''Emily, il dodici è il compleanno di tu sai chi'' sussurrò.
Mi sentii mancare la terra sotto i piedi e mi appoggiai alla scrivania.
''Aspetta, ripetimi che giorno è oggi''
''Il tre maggio'' disse con un sospiro di sollievo.
''Ehi, perché quel sospiro?''
''Perché finalmente ti sei svegliata''
''Non ne sarei così sicura. Compie diciott'anni e io non ci sarò'' mi passai una mano tra i capelli.
Lo avevo perso, ormai.

**

''Evans, ci può ripetere che cosa stavamo dicendo?''
''Eh?'' chiesi scuotendo la testa
Welch.
Roteai gli occhi.
Welch e il lunedì mattina erano i miei incubi peggiori, figuriamoci messi insieme.
''Che cosa stavamo dicendo?'' ripeté infastidito.
Sentii uno sguardo bruciarmi addosso, lo stesso che sentivo da gennaio.
Lo guardai per un secondo, tanto per rendermi cono che mi stava osservando dalla testa ai piedi nonostante la "vista" fosse bloccata da un Mike che era diventato protettivo come non mai. Cosa di cui gli ero molto riconoscente.
''Uhm, non lo so, ero distratta'' borbottai.
Welch mi guardò male ma quando sentii una risata mi si gelò il sangue.
Mi alzai di scatto facendo strisciare la sedia rumorosamente.
Quando vidi Allyson guardare a terra con il viso coperto dai capelli biondi, strinsi i pugni talmente tanto da conficcarmi le unghie.
''Ti senti bene, Allyson?'' chiesi pungente.
''Si, benissimo, e tu? Non hai una bella cera. Non hai dormito in questi ultimi mesi?'' ricalcò l'ultima frase.
''Oh, cara, ho dormito benissimo'' dissi angelica.
''Le tue occhiaie non dicono questo''
''Ma, dimmi un po', quanti chili di fondotinta usi per mascherare le tue?'' tutti risero.
''Non avrai mai una pelle bella come la mia comunque''
''Allyson che si arrampica sugli specchi? E da quando? Non hai più la battuta pronta? Non dirmi che ti ho spenta''
''Ti odio, Evans'' squittì e incrociò le braccia come una bambina.
''Avete finito?'' intevenne il prof.
''Si'' sorrisi soddisfatta e mi sedetti.
''C'è una punta di orgoglio nel suo sguardo'' sussurrò Mike.
''Non mi interessa'' mentii.
''Ma nel mio di più. Sei stata grandissima''
''Idiota'' sorrisi tirandogli una gomitata.

C'È UNA PUNTA DI ORGOGLIO NEL SUO SGUARDO.
Ripetei tra me e me quella frase fino al suono della campanella.
Sorrisi involontariamente: era orgoglioso di me, ancora.

***

Il caffè mi stava bruciando le mani.
Ero andata alle macchinette con Chloe, ma mi aveva abbandonata per Johnatan. Quel ragazzo ancora non mi convinceva, anzi per me era assolutamente un figlio di puttana di prima categoria, ma Chloe lo amava e io non potevo farci nulla.
Comunque, stavo andando verso la classe, da sola, con il caffè bollente tra le mani e continuavo a fissare il liquido marroncino per paura di rovesciarlo, dato la mia dote nel rovesciare ogni cosa.
Ma la sfiga non mi lasciava mai, si era affezionata troppo a me: quando sentii il corpo bruciare improvvisamente, lanciai un urlo che sentì tutta la scuola.
I miei vestiti erano totalmente ricoperti di caffè.
Lanciai il bicchiere in faccia all'idiota di turno ancora prima di vederlo, ero troppo impegnata ad ammirare la mia maglia bianca diventata giallognola.
''Merda, sei un cazzo di idiota. Brutta faccia di merda, ma vedi dove cazzo vai?'' urlai per poi finire con una bestemmia.
''Non hai perso la tua delicatezza, almeno''
Quella voce mi fece tremare il cuore, poi le gambe e infine mi fece appannare la vista.
No. Non poteva essere vero. Non lo volevo accettare, non potevo accettarlo, non dopo tre mesi, non proprio quando stavo ricominciando a vivere.
''Tayler'' sussurrai alzando lentamente la testa.
Sorrideva in quel modo provocatorio mentre io ero immobile.
Chi voglio prendere in giro? Non stavo ricominciando a vivere, non stavo bene. Stavo uno schifo.
«Svegliati, non farti vedere debole.»
Scossi la testa come per riprendermi e mi raddrizzai.
''Sei un idiota patentato'' urlai.
''Mi dispiace'' appoggiò il pollice sulla mia guancia e la sfiorò dolcemente mentre guardava intensamente il punto che aveva appena toccato.
Mi persi un secondo ma poi gli tirai uno schiaffo.
Eravamo sotto gli occhi di tutti.
''Non puoi, okay? E non dico dei vestiti, ma di questo gesto. Non dovevi, Tayler. Non puoi giocare con il mio cuore così'' lo guardai negli occhi.
''Non è quello che voglio fare'' scosse la testa.
''Perché mi hai toccato, allora?''
Stavo cercando di non urlare.
''Avevi una goccia di caffè sulla guancia''
''Non mi interessa, sono piena di caffè, se non te ne fossi accorto'' dissi dopo un attimo di esitazione.
Non mi riconoscevo più. Esitavo e poi esplodevo. Mi stavo proteggendo, in un modo o nell'altro.
''Ne possiamo parlare da un'altra parte?'' si guardò intorno.
''No, non voglio parlare di un cazzo con te'' mi girai ma Tayler mi prese il braccio.
''Emily, ci stanno guardando tutti'' sussurrò vicino al mio viso, troppo vicino, tanto da riuscire a sentire il suo alito che sapeva di menta e sigaretta.
''Okay'' sospirai.
''Okay'' disse anche lui sospirando.

Ci incaminammo verso il bagno delle ragazze.
''Non puoi entrare qui''
''Non mi interessa, mi interessi solo tu ora''
''Okay, allora parla''
''Mi manchi, Emily. Mi sei mancata terribilmente. Sono stati mesi impossibili da sopportare'' sussurrò.
Mi girai, presi un po' di carta e, dopo averla bagnata, la tamponai sui vestiti.
«Stai evitando di parlarne? Esattamente»
''Niente'' dissi buttando con rabbia la carta nel cestino ''Non si leva''
''Ti porto a casa e ti cambi''
''Non posso, sei fuori?'' sussurrai.
''So solo che non posso lasciarti così, soprattutto dopo averti quasi ustionato. Ora andiamo'' disse serio prendendomi la mano.
Mi sentii davvero morire e, con uno strattone deciso, la levai.

***

Ebbene si, non so come ci lasciarono uscire.
Magari perché il professore di letteratura era talmente rimbambito da credere alla scusa della nonna morta. Si, io e Tayler fummo per due minuti fratelli o cugini, o qualunque tipo di parentela che ci potesse dare una nonna morta in comune.
«Che diavolo stai facendo? Non lo so»

Spero che vi piaccia.
All the love, -M

Un errore bellissimoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora