nove

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November Was White, December Was Grey, SAY Hi

Quando mio padre se andò per la prima volta era il giorno del compleanno di mio fratello. Compiva quattro anni, io ne avevo otto. Non so esattamente se quella fosse la prima volta, ma è la prima che io ricordi.

Stava litigando con mia madre per qualcosa che era sempre al centro delle loro discussioni, anche se poi con l'andare avanti negli anni qualsiasi cosa sarebbe stata buona per finire in quel centro e non uscirne più. Era il giorno del compleanno di mio fratello e mia madre piangeva, Evan chiedeva a mio padre di non andare via.

«Non andartene papà, è il mio compleanno» solo che poi se ne andava comunque. Sbatteva la porta alle sue spalle e mia madre era contro il bancone della cucina, poi c'ero io che non sapevo cosa fare. Non sapevo cosa pensare e cosa dire. Non lo sapevo mai.

Mio padre non è una cattiva persona, di questo ne sono sicura. Ho anche dei ricordi belli con lui, con mio fratello e mia madre. Solo che quei ricordi spesso vengono annullati dal presente e da quelli passati che incombono ogni giorno sulle nostre spalle. Non sto dando la colpa a nessuno, perché non sono in grado di poterlo fare, ma so che stiamo soltanto implodendo in questo modo, e non so quanto ancora potremo resistere. Dicono che io sia uguale a lui, solo che io non mi sento così.

Credevamo che mio padre quella sera sarebbe tornato, e fu così. Era tardi ma io ero ancora sveglia, lo eravamo tutti quando sentimmo il telefono squillare. Chiedeva a mia madre di tornare a casa, chiedeva il permesso dopo tutto quanto. E mia madre gli disse di sì. L'ha sempre fatto. E lui se n'è sempre andato perché lo sapeva. Sapeva che poteva dire ciò che voleva e sbattere la porta tutte quelle stesse volte sempre più forte, tanto sarebbe tornato comunque in quella casa.

Forse in tutte quelle volte — quelle in cui la porta tuonava quasi come se anticipasse una distruzione che poi non è mai esplosa — qualcosa ha iniziato a spezzarsi. E ogni volta il filo diventava sempre più debole, da cemento è diventato argilla nelle nostre mani e non ce ne siamo neppure accorti. 

Mio padre se ne va anche oggi. Io entro da quella porta e lui esce chiudendola dietro di sé e dietro di me. Non so per quale motivo questa volta, e forse ha smesso di interessarmi. Perché a volte non hai scelta, a volte la soluzione è una e basta, non importa quello che tu vorresti, non importa se credi di poter cambiare le cose. Alcune cose, alcune volte, non le puoi cambiare e basta. Le cose non cambiano, restano così come sono.

Vedo mia madre seduta al tavolo con una tazza tra le mani e il volto girato dall'altra parte, i capelli scuri raccolti sopra la testa. Non mi dice niente, e non lo faccio nemmeno io. Perché tanto lo sappiamo tutti che quella porta verrà aperta e sbattuta di nuovo.

«Forse ci trasferiamo» mi dice Eve, seduta sulle scale al mio fianco.

Io mi volto verso di lei. «Quando?»

Lei scuote la testa mentre continua a guardare la vita degli altri che continua davanti a noi. «Non lo so, non è sicuro. Dipende da come vanno le cose.»

Io annuisco soltanto, non so che cosa dirle. Non so cosa pensare, non so se preoccuparmi. Non riesco ad immaginare di avere Eve lontana, ma non voglio darci peso adesso. So che quando arriverà il momento, sarà lei a parlarmene.

«A te che succede?» continua, questa volta voltandosi verso di me. Sapevo che me l'avrebbe chiesto, e sapevo che mi avrebbe lasciato lo spazio che credevo di avere bisogno prima di farlo. Anche se gliel'avrei detto comunque.

«Ho visto Nina» butto fuori, tutto in una volta e con una decisione che sembra appartenermi da sempre.

«Dove?»

«Nella metro, l'altro giorno. È stata una questione di secondi» le riferisco, piegando di più le gambe e portando le braccia ai lati di esse.

«Vi siete dette qualcosa?» So che Eve ci sta provando davvero e che me lo chiede soltanto per il mio bene, e so che le parole bisogna tirarmele fuori dalla bocca altrimenti non escono. Però con Eve è sempre diverso.

Scuoto debolmente la testa. «Ci siamo a stento salutate.»

«E com'è stato?» continua con le sue domande, ma perché sa che per lei le risposte le ho. Se fosse stato qualcun altro mi avrebbe lasciata andare, avrebbe lasciato perdere tutto dopo la seconda risposta mancata.

«Non so cosa mi aspettassi, ma forse è stato come doveva essere. Forse doveva andare così e basta.»

«Magari un giorno vi ritroverete» dice Eve, inclinando la testa e continuando a guardarmi. Eve sa tutto quello che è successo tra me e Nina. Conosce tutte le parole e tutto il male che ci siamo fatte, ma non ci giudica. Eve non lo fa mai, non giudica nessuno anche se conosce ogni più piccola cosa di quella persona. E pensa che le cose si possano aggiustare, che si può sempre trovare un pretesto per continuare, che c'è sempre una ragione per cui ne vale la pena.

«Non lo so, Eve» le rispondo, perché in alcuni momenti vacillo ancora e lo penso anch'io. Poi in altri penso che non si possa ricomporre qualcosa che ha perso troppi pezzi durante la strada.

«C'è solo questo?» mi chiede poi, sorridendomi debolmente e poggiando una mano sulla mia schiena. Nessuno mi conosce come lei.

Io sospiro mentre mi lascio scorrere una mano tra i capelli. «La sera di quel giorno c'era un ragazzo al locale, è rimasto fino alla chiusura.»

Eve non mi interrompe, annuisce e mi ascolta soltanto. «È da un po' che viene. Solitamente lo fa il venerdì, e prende sempre il solito ogni volta.»

Non le dico delle sue parole, di quanto lui crede che sia attenta ai dettagli. Sono consapevole di esserlo, di dare più peso alle piccole cose che ad altro, e questo Eve già lo sa.

«Non conosco neanche il suo nome, ma è come se lui volesse qualcosa di più. Come se sapesse già quanto basta per poterlo fare.»

«Dipende da quanto gli permetti di sapere» mi risponde Eve, non distogliendo mai lo sguardo dal mio.

«C'è qualcosa in lui che non riesco a lasciare andare, ma ho bisogno di farlo» ammetto, chiudendo gli occhi per un istante e passandomi le mani sul volto.

«Perché?»

«Lo sai il perché, Eve. Non posso permettermi di farlo, non adesso.»

Qualsiasi cosa lui voglia, qualsiasi cosa si aspetti da me, io non posso dargliela. Non posso fare promesse, non posso legarmi a qualcosa e non posso avere vincoli. Poi mi rendo conto che non so neanche se lui venerdì tornerà, se quello che pensa sia cambiato, se abbia visto quel qualcosa in me che ha spinto tutti ad andare via.

Eve mette un braccio intorno al mio e si avvicina ancora di più a me. «Non sei costretta a fare niente che tu non voglia. Ma promettimi, promettimi che ti darai una possibilità.»

Io la guardo, ed entrambe sappiamo quello che mi sta chiedendo. Qualcosa che io mi sono sempre negata, qualcosa per cui ho smesso di lottare, qualcosa che io non cerco più e da cui non voglio essere trovata. Solo che Eve è sempre Eve, e le promesse a lei non posso negarle. E lei lo sa, batte su quello ogni volta per tenermi con sé.

«Te lo prometto.»

A/N

Come sempre, sarei davvero felice se mi faceste sapere cosa pensate della storia, del rapporto tra i personaggi e delle piccole cose della storia di Mia che stanno venendo fuori.

Un bacio,
Chiara 🌹

𝐔𝐓𝐎𝐏𝐈𝐀 [𝐇𝐚𝐫𝐫𝐲 𝐒𝐭𝐲𝐥𝐞𝐬]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora