Capitolo 11

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[Clarke]

Dopo un po' di tempo ero rientrata nella casa di Lexa, speravo che dopo la sua 'fuga' fosse tornata anche lei.

"Lexa?", la chiamai.

Nessuno mi rispose, non era in casa.

Appoggiai la borsa con la macchina fotografica vicino al divano e mi diressi verso il salotto. Mi guardai un po' in giro. Svoltai l'angolo della stanza e notai delle foto appese alla parete, che ritraevano Lexa e Costia insieme, sembrava quasi un racconto della loro storia, la mia attenzione fu catalizzata dalla cornice sopra un mobile riposta proprio al centro, era una bellissima foto in cui c'erano loro due abbracciate in riva al mare. La sollevai per guardarla più da vicino, e cadde un foglio bianco sul mobile, era ben risposto sul retro della cornice. Lo presi in mano e con molta titubanza lo aprì. Era una lettera. Sapevo benissimo che non avrei dovuto nemmeno aprirla tanto meno leggerla, 'In fondo non sono affari miei' pensai, 'Con cavolo!! Io tengo a Lexa' mi ripetei; volevo capire cosa le stava succedendo e aiutarla ad aprirsi con me, così anche se moralmente sbagliato cominciai a scorrere le poche righe che erano scritte su quel foglio bianco.

"L-

So che non capirai perché l'ho fatto, ma spero che

un giorno saprai perdonarmi e che presto mi dimenticherai.

Ho provato a cercare la felicità, ma a quanto pare

l'oscurità mi ha trovata ed io non riesco a respirare.

Sei sempre stata tu quella forte. Mi dispiace.

-C"

Ero letteralmente scioccata da quello che avevo appena scoperto, Costia si era suicidata stando a queste righe, e il motivo poteva sicuramente centrare con il loro amore, 'Lexa si sente in colpa!' pensai. Stavo rileggendo per una seconda volta quelle poche parole, talmente assorta, che non mi accorsi che Lexa era rientrata e mi stava fissando, il suo volto era infuriato e aveva un espressione quasi ferita, si avvicinò di qualche passo e mi strappo il foglio dalle mani, voltandosi immediatamente per andare via. Non sapevo cosa fare, ma dovevo fermarla.

"Mi dispiace, stavo solo... Aspetta, voglio parlare con te." Dissi quasi disperata.

Si girò di nuovo verso di me venendomi incontro.

"Non avevi il diritto di leggere questa lettera!!", mi urlò rabbiosamente.

"Mi spiace averla letta, ma tu non puoi scappare da questa cosa", provai a farla ragionare.

"Queste sono stronzate!" sbottò, chiaramente non voleva parlarne, almeno non con me.

"Ma...", riprovai.

"No, ascolta, non voglio parlarne", ora la sua voce tremava.

"Non devi parlarne", cercai di rassicurarla, feci dei passi verso di lei e l'abbracciai stretta.

"Non voglio... no! Clarke... Lasciami andare!", cercò di divincolarsi da me, ma io stringevo più forte.

"Non devi parlarne" le sussurrai.

"Clarke...".

"Non ti lascio andare".

"Clarke...".

"Non ti lascio andare... Non ti lascio andare", sussurrai nel suo orecchio, alla fine mi abbracciò stretta anche lei e cominciò a piangere sulla mia spalla, la lettera le cadde dalle mani e mi strinse sempre più forte, la lasciai sfogare fino a che sentì il suo corpo rilassarsi, mi sembrò un'eternità in realtà erano passati solo pochi minuti.

Loving ClarkeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora