Capitolo 9.

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Sbuffai sonoramente rendendomi conto di star morendo di freddo, tastai più volte con la mano il materasso vicino a me realizzando che del mio povero piumone non ce ne era la minima traccia.

A fatica mi voltai verso la figura dormiente al mio fianco e per un attimo mi chiesi chi accidenti fosse ma poi il suo pesante russare mi ricordò nuovamente della presenza di Nonna Clifford e del fatto che fosse ancora viva.

Peccato.

Ormai erano tre giorni che speravo in un miracolo di Natale anticipato e che la mia cara e dolce nonnina decidesse da un momento all'altro di andarsene e, magari, non tornare più.

Lo ammetto, ero arrivata al punto di desiderare la morte di Nonna Clifford quando, il giorno dopo lo spiacevole inconveniente con il telecomando, ero andata a scuola con la voglia di fare due ore di educazione fisica sotto le scarpe.

Il coach ci ha diviso subito in due squadre e, prima che nell'anticamera del cervello di qualcuno passase la malsana idea di scegliermi come giocatrice, si è avvicinato pesante a me fermandosi a pochi centimetri dai miei piedi.

-Clifford.- disse il coach facendomi subito alzare lo sguardo verso di lui.

-Coach che dice, mi lascia passare?- ridacchiai alludendo al fatto che sì volevo anche io fare una partita a pallavolo e sì ero pur sempre negata ma niente e nessuno mi avrebbe fermato dal toccare quella sfera di cuoio.

-E per andare dove Clifford? A salvare il mondo con le tue magiche doti di tiratrice esperta? Non penso proprio, oggi rimami in panchina.-

Lo guardai confusa, "magiche doti di tiratrice esperta"?
E quando mai ho avuto delle doti?

-Coach non capisco...- ammisi, il coach sospirò pesantemente e fischiò per dare inizio alla partita.

-Clifford lascia che ti illumini,- disse agganciando con le sue mani grassocce i fianchi della medesima dimensione -questa mattina ho ricevuto una telefonata in cui venivo pregato di fermare un certo pericolo pubblico dal lanciare oggetti. Riesci ad indovinare chi sia?-

Scossi la testa.

E questo cosa c'entrava con me?

-Clifford Clifford Clifford, mi avevano detto che eri intelligente...- continuò il coach dall'alto dei sui 90 chili di pure ciambelle al doppio cioccolato fondente -Come ben sai sono un rispettato e stimato cittadino di questa contea, ho il compito di proteggere ragazzi innocenti come loro dai pericoli pubblici come te.- per primo indicò con il braccio i miei compagni che stavano animatamente giocando e poi me, storcendo la bocca.

Pericolo pubblico, pft.

Esagerato.

-Non offenderti Clifford, lo faccio per salvaguardare queste giovani vite. Hanno un futuro davanti.-

-Coah ma è stato un incidente...- risposi ripensando a quando, solo un'anno prima, avevo schiacciato in faccia ad una mia compagna mandandola all'ospedale.

-Le hai rotto il naso con una schiacciata, Clifford.- puntualizzò il coach intento a seguire la partita.

-Stavamo giocando a schiaccia cinque, è ovvio che schiacci e poi è colpa di Jassie che non l'ha presa.-

-Primo, Clifford, era basket e secondo nessuno poteva aspettarsi un lancio del genere. Voglio dire, ti sei vista? Le tue braccia sono fatte di gelatina non avrei mai potuto immaginare che avresti lanciato una bomba del genere.-

Il coach stava senza ombra di dubbio mentendo, omettendo la parte migliore di tutta quella storia.

La mia schiacciata non è stata solo una bomba, è stata a dir poco mitica e quando la palla si è schiantata sul naso di Jassie è stato come assistere ad un meteorite che supera l'atmosfera, acquista velocità e finisce per creare un cratere sulla terra.

Asylum; Ashton Irwin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora