Capitolo 14

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Appena arrivo al magazzino e vedo la mia adorata moto, finalmente, respiro liberamente. Quando mi siedo sul sellino e accendo il motore, il mio cuore si sente più libero e in procinto di librarsi in volo. Sfreccio ad alta velocità per le strade di San Francisco, con il vento che accarezza la mia pelle, prendo il volo mentre l'adrenalina mi spinge ad andare ancora più veloce. Prendo uno sbocco secondario mentre la strada, prima larga e spaziosa, si restringe in tornanti tortuosi. Salgo sul promontorio, la mia mente è lontana ma, il mio corpo conosce questa strada a memoria e sfreccia sui tornanti con abilità e destrezza. Quando arrivo a Twin Peaks, un parco naturale situato su un promontorio, accosto su una piazzola. Lentamente tolgo il casco e prendo una grossa boccata d'aria, smonto dalla moto e percorro un sentiero nascosto dalla vegetazione che mi porta proprio su un crepaccio. Mi siedo al limitare, con le gambe a penzoloni e guardo il panorama, la vista di san Francisco in tutta la sua grandezza e poi l'oceano che si snoda a perdita d'occhio mi toglie il fiato ogni volta. E' come se fosse sempre la prima volta che vengo qui, anche se ormai questo è il mio posto preferito da anni, ma l'emozione della vista che si gode da quassù, lontana da tutti, è sempre la stessa. Fisso per minuti indefiniti il paesaggio, viaggiando con la mente, fino a che arriva a lui. Dopo quello che mi ha fatto, non ho più né detto né pensato il suo nome, l'ho sempre chiamato mostro o solo lui, l'innominabile. Per la prima volta prendo coraggio e pronuncio il suo nome ad alta voce <Jacob> mi lascia un sapore amaro in bocca appena lo dico e l'immagine del suo volto mi si para davanti, ed è peggio di una coltellata al cuore. Viene poi sostituito con i flashback di quell'orribile sera, il mio copro è scosso da tremori, perché sento ancora le sue luride mani su di me, che mi rendono sporca e mi annullano sempre di più ad ogni suo tocco. E per la prima volta lascio libero sfogo alle lacrime, mentre pesto pugni sul terreno, scorticandomi le mani ma, non ci faccio caso. Sono troppo accecata dalla rabbia e dalla disperazione che scorre in ogni fibra del mio copro. Lascio libero sfogo anche all'urlo che ho trattenuto per un anno, perché ero troppo orgogliosa per far vedere alle persone la mia disperazione. urlo con tutto il fiato che ho in gola mentre le lacrime rigano il mio viso e inzuppano la maglietta, urlo adesso, perché quando è successo mi è stato negato. Negato dalla persona che aveva dichiarato di amarmi, ma che mi ha distrutto pezzo per pezzo, per poi alla fine dandomi il colpo di grazia mi ha ridotto al nulla. Urlo per l'ingiustizia di non aver avuto il coraggio di farlo prima, urlo perché dovevo farlo ma ho avuto paura, sia prima che dopo. Per lui sono stata solo una marionetta che poteva usare a suo piacimento. ogni volta che ci penso, mi sento sporca e anche se provo a lavarmi con ferocia non riesco a toglierla perché ormai sono sporca nell'anima. Sono un'anima perduta, corrotta e dannata, ormai ho perso le speranze di salvarmi. Non c'è redenzione che tenga per me e devo convivere con questo insopportabile peso. ormai col fiato strozzato per le troppe lacrime e urla, mi blocco e guardo il cielo frastornata. Mi sento svuotata, come un contenitore senza niente al suo interno. Non riesco a pensare o percepire qualcosa, sono diventata insensibile a tutto. Vorrei solo lasciarmi trasportare dalla corrente del vento e andare lontano, ricominciare a ricostruirmi pezzo per pezzo, ma so che non è possibile. Devo riuscire a trovare la forza dentro di me, anche se penso di averla finita da un pezzo. Adesso non sto vivendo, sto sopravvivendo a stento. Ad ogni minima cazzata che succede, crollo e spacco la mia armatura di cartapesta che ogni giorno mi metto. Vorrei riuscire ad essere forte come quelle eroine che leggo nei miei libri preferiti, che riescono a superare tutto, ogni ostacolo che le si presenta davanti, solo che nella realtà fa più male che leggerlo. Mi riporta alla realtà il suono del mio cellulare, rispondo come un automa senza neanche guardare chi è <Pronto> rispondo con voce roca per le urla. <Ciao Cloe, sono Sandy> mi risponde allegra la mia amica. <Ciao> abbozzo un sorriso, riprendendo la mia facciata, anche se lei non può vedermi. <Sta sera andiamo all'Inferno, e niente discussioni. Tu verrai con noi, se no ti ci trascino> mi dice minacciosa. <Va bene> le dico troppo stanca anche solo per protestare. Anche se la mia voglia di andare è pari a zero. <Perfetto! Arrivo per le nove> mi dice entusiasta e stacca la chiamata, senza aspettare una mia risposta. Mi alzo indolenzita e mi avvio verso la mia moto e poi vado dritta a casa. Appena apro la porta del mio appartamento, però, mi accorgo che ho una visita indesiderata mentre degli occhi grigi mi scrutano, incazzati neri. Ingoio della saliva inesistente, sono nella merda fino al collo.

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