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La pioggia scendeva copiosa da ore e secondo le previsione metereologiche avrebbe continuato ancora per giorni. Uscendo dalla fermata della metropolitana la ragazza sollevò il cappuccio e aprì immediatamente l'ombrello allo scopo di evitare anche la più insignificante delle gocce d'acqua.

La stazione di Baker Street era sorprendentemente trafficata, per motivi che lei non riusciva a comprendere. Doveva ancora abituarsi all'aria di Londra, così come al suo caos perenne, alla moltitudine di persone presente ovunque, al clima di insicurezza che aleggiava delicato ma costante nei luoghi più affollati.

Superato l'ingresso della stazione ed evitata la folla maggiore, la ragazza e il suo ombrello giallo proseguirono lungo Baker Street con passo insicuro per i cinque minuti che separavano la metropolitana dal numero 221B.

Appena ebbe raggiunto il noto indirizzo si bloccò, osservando la facciata e la porta d'ingresso oltre l'ombrello. Ripensò mentalmente a quello che avrebbe dovuto dire; aveva preparato un discorso che secondo lei poteva funzionare, eppure ogni volta che tentava di ripeterlo qualcosa cambiava e, soprattutto, le sembrava perdere di senso. Respirò a fondo, eliminò l'aria in eccesso e si abbassò il cappuccio. I capelli mossi, gonfi, rossi come ciliegie, le scivolarono sulle spalle del cappotto nel momento esatto in cui lei prendeva forza e colpiva la porta con il battente.

Aspettò un po', sempre sotto la pioggia, con il cuore che le martellava contro il petto e la convinzione di non avere un'argomentazione sufficientemente valida a suo favore. Oltre quell'ingresso c'era Sherlock Holmes, qualsiasi cosa lei avrebbe potuto dire quell'uomo l'avrebbe sicuramente passata ai raggi X e resa traballante. Sapeva il suo modo di lavorare e sapeva anche alla perfezione che, quasi sicuramente, sarebbe stata allontanata da quell'indirizzo con un nulla di fatto.

Finalmente la porta si aprì. Davanti a lei comparve Mrs. Hudson, che aveva già avuto modo di intravedere alla televisione o sui giornali – oltre ad aver letto di lei sul blog di John Watson.

La signora la guardò, sorrise e chiese: «Hai bisogno di qualcosa?»

I suoi modi parvero immediatamente garbati alla ragazza. Era come l'amabile proprietaria di casa, quella che fa trovare il tè sempre pronto e ripiega sul caffè nel caso fosse rimasta senza. Tuttavia il suo cuore non ne voleva sapere di calmarsi, benché ad aprirle non fosse stato l'uomo per cui era andata fin lì.

«Ehm, sì, grazie. Mrs. Hudson, giusto?»

Attese il cenno affermativo della donna prima di ricominciare a parlare: «Mi chiamo Emily, Emily Price. Sono qui perché... ehm...»

La sua argomentazione cominciò a vacillare fin da subito. Come si poteva spiegare senza troppi problemi il perché lei era lì? Come poteva fare a illustrare a una signora come Mrs. Hudson quello che aveva intenzione di fare? Cercò di riordinare in fretta i pensieri e ci stava quasi riuscendo quando la donna si accorse che la sua interlocutrice era ancora sotto l'acqua.

«Oh, vieni dentro cara. Sta piovendo proprio forte. Entra, possiamo parlarne in casa mia.»

Fece accomodare Emily, che la ringraziò mentre chiudeva l'ombrello e lo posava accanto alla porta. La ragazza lanciò un'occhiata alle scale che procedevano verso il primo piano, immaginando Sherlock Holmes salirle, il cappotto lungo, suggestivo, ondeggiare a ogni gradino.

«Per di qua.»

Sentendo la voce della donna si ridestò dai suoi pensieri e seguì la signora Hudson fino alla sua cucina, piccola ma accogliente, sedendosi al tavolo, su indicazione della donna.

The young redheadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora