VII

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Quel sabato mattina Emily si rigirò a lungo nel letto. Le nove erano prossime ad arrivare, ma lei non riusciva a trovare la voglia di mettere piede fuori dalle morbide coperte che teneva tirate fin sopra alla testa. I rumori della Londra mattutina entravano dalla finestra in modo ovattato, ma comunque incessante. Alla fine la ragazza riaffiorò da sotto le coperte e lanciò un'occhiata alla parete alla sua sinistra, dove era solita appendere i suoi acquerelli. Ne aveva fatti altri e aveva ulteriormente incrementato la parte di muro coperta dai suoi lavori. Fece scorrere gli occhi su di essi, dopodiché si decise ad alzarsi.

Il sabato mattina Sherlock era quasi sempre a casa, principalmente per il fatto che Molly non era mai al St. Bartholomew's Hospital e quindi non poteva autoinvitarsi al suo laboratorio per svolgere delle analisi su cose che sapeva solo lui. Emily decise quindi di trascorrere quelle ore insieme al detective, nel tentativo di ampliare ancora un po' il suo lavoro di ricerca che, nelle ultime settimane, stava cominciando a prendere una forma maggiormente definita – sebbene rimanesse un'accozzaglia di appunti, note, post-it e indicazioni. Si vestì con una delle sue abituali camicette e un paio di jeans, si legò i capelli in un improvvisato chignon, e, infilate le proprio sneakers, uscì dalla camera. Appena fu all'inizio della rampa di scale, però, si accorse che in soggiorno Sherlock non era solo. Stava parlando con qualcuno, qualcuno che non ne aveva intenzione di alzare il proprio tono di voce. Quella che si stava svolgendo al piano di sotto era una delle conversazioni più mormorate che la ragazza avesse mai sentito, soprattutto perché non riusciva a comprendere una sola parola. Scese le scale cercando di fare abbastanza rumore, nel caso i due presenti stessero parlando di argomenti di cui lei avrebbe fatto meglio a rimanere all'oscuro e, sull'ultimo gradino, fu in grado di vedere chi aveva raggiunto il 221B quella mattina.

Mycroft Holmes era in piedi, in linea d'aria, proprio davanti alla porta. Era vestito con l'impeccabile eleganza riconducibile ai membri della sua famiglia e stava rivolgendo il suo sguardo al camino dove, immaginò Emily, si trovava di sicuro il fratello minore. L'uomo la sentì e si voltò verso di lei. Le fece un cenno con il capo e le diede il buongiorno.

«Salve, Mr. Holmes» lo salutò di risposta lei, entrando nella stanza.

Sherlock la stava già guardando e la ragazza gli rivolse un saluto. Mycroft aveva come suo solito la consueta aura di sicurezza e superiorità a rivestirlo e a Emily non servì molto tempo per intuire che in quel momento vigeva un'atmosfera piuttosto tesa nella casa. Sperò di poterla alleviare in qualche modo.

«Posso offrirle del tè?» domandò al più grande dei fratelli Holmes.

Quest'ultimo declinò l'offerta con un elegante gesto. «No, ti ringrazio. Mrs. Hudson ha già provveduto» rispose, per poi rivolgersi a Sherlock: «Per fortuna in questa casa continua a esserci qualcuno che sa cosa sono le buone maniere, a differenza di te, fratellino.»

La ragazza notò Sherlock irrigidire la mascella, lo sguardo fisso su Mycroft. A ben pensarci lei non era mai stata a contatto con entrambi contemporaneamente e le fu evidente la poca simpatia reciproca che provavano l'uno per l'altro – come John le aveva già detto tempo addietro. Eppure era certa che Mycroft volesse bene a Sherlock, altrimenti non sarebbe stata in grado di spiegarsi perché qualcuno fosse disposto a spendere soldi con l'intenzione di chiedere a una sconosciuta – lei, in quel caso – di sorvegliare il proprio fratello.

«Ha un incarico per Sherlock o è qui per una semplice rimpatriata» tentò poi Emily, respirando perfettamente il clima presente e chiedendosi se non fosse meglio scappare finché ne aveva il tempo.

«Nessuna delle due cose» intervenne il detective, lanciando un'occhiata torva in direzione di Mycroft. «Ho già detto al mio adorato fratello che può andarsene perché non ho alcuna intenzione di accettare il caso.»

The young redheadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora