XV

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«Ti dirò, per una come Emily avrei preferito un ragazzo più alto.»

La voce di Sherlock spezzò l'aria dopo quello che a lui parve un tempo sufficientemente lungo, nel quale i due presenti si erano reciprocamente studiati a sufficienza. Il detective puntò sull'umorismo per fare la presentazione finale, ma notò con disappunto che al giovane la cosa non parve fare alcun effetto.

Quest'ultimo, infatti, rimase impassibile a osservare l'altro senza tradire alcuna emozione. Per Sherlock quello fu il sottile messaggio con cui intese che il ragazzo non voleva servirsi del palcoscenico che il detective gli stava fornendo e che l'atto finale era proprio lui.

Richard – o qualunque fosse stato il suo vero nome – lasciava trapelare totalmente dal suo sguardo e dal suo atteggiamento l'intenzione di uccidere Sherlock e il detective capì che per farlo confessare – constatando di conseguenza se le sue supposizioni erano esatte o meno – avrebbe dovuto lavorare di fino.

«Speravo di poter fare un po' di conversazione. È una così bella sera» disse poi, dando così il via alla sua tattica.

A quelle parole l'altro sorrise. La luce che gli inondò il volto era tutto fuorché rassicurante e se Sherlock non fosse stato consapevole di ciò a cui stava andando in contro avrebbe potuto rimanerne scosso anche lui.

«So cosa vuoi fare Holmes» rispose il ragazzo con il suo tono più tagliente. «Non sono qui per parlare di me, quindi risparmia il fiato.»

Sherlock lo vide infilare la mano destra nella tasca della sua giacca a vento nera, serrare la presa intorno a qualcosa; dal modo in cui la stoffa si era rigonfiata in corrispondenza della mano il detective dedusse che il giovane aveva appena stretto con forza un oggetto non tanto grande, probabilmente un coltello a scatto date le ridotte dimensioni delle tasche.

Tornò a focalizzare l'attenzione sul ragazzo, capendo che non sarebbe stato semplice ritardare l'effettivo attacco finale. Preda e cacciatore erano uno di fronte all'altro e il secondo aveva quanto mai voglia di attaccare.

«Almeno una cosa me la devi, dato che hai prima sedotto e poi rapito la mia coinquilina, rendendo la mia convivenza nell'ultimo periodo piuttosto ostica. Il tuo nome.»

«Quello vero» aggiunse, davanti all'espressione sprezzante subito assunta dall'altro.

Quest'ultimo sorrise, stringendosi nelle spalle.

«Nathan Scott.»

*

Il cuore di John batteva a volumi spropositati per la tensione del momento, mentre un passo dopo l'altro procedeva in direzione della piscina. Era teso come una corda di violino, pronto a scattare in qualsiasi momento. Teneva la semiautomatica nella mano destra, sollevata e pronta a sparare.

Appena ebbe raggiunto la soglia oltre cui si intravedeva la vasca di limpida acqua celeste si fermò. Respirò a fondo e si sporse oltre il muro, cercando di vedere nell'ampia stanza. Anche lì vi era molta penombra, le poche luci accese erano alti fari puntati sugli ingressi e illuminavano poco il resto dello spazio circostante. Nonostante ciò, però, a John non sfuggì affatto la nota figura di Emily.

Era seduta su uno dei blocchi di partenza della vasca. Teneva le braccia dietro la schiena, le caviglie ravvicinate. John capì che era senz'altro legata e, aguzzando la vista, riuscì a notare alcune fascette da elettricista a stringerle le caviglie. Alle sue spalle un uomo robusto e dall'aspetto indiscutibilmente burbero, faceva avanti e indietro nervosamente, la pistola in mano.

Il medico si ritrasse dietro il muro, pensando a cosa poter fare. Gli tornarono in mente le parole di Sherlock; se di Emily non importava nulla a chi c'era dietro a tutta quella storia, significava anche che la pistola dell'uomo che la stava sorvegliando era carica e pronta a sparare. A quel pensiero un piano si delineò nella mente di John. Avrebbe dovuto essere veloce e non commettere il minimo errore per far funzionare tutto alla perfezione, consapevole che il minimo sbaglio avrebbe potuto costare caro a Emily.

The young redheadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora