XIV

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La luce dei lampioni la faceva da padrona; insieme ai fari delle auto in transito illuminava una nuova sera londinese, le sette trascorse da poco.

Ai lati opposti, le ombre allungate proprio da quella luce, le due figure fra loro tanto differenti di John Watson e Sherlock Holmes si stavano andando incontro, ciascuno a passo fermo, lo sguardo fisso davanti a sé. Come se avessero perfettamente progettato quel momento, i due uomini incrociarono le proprie strade esattamente davanti al civico 221B lì, in Baker Street.

Si fermarono entrambi, guardandosi in silenzio per diversi secondi.

Il medico osservò attentamente il detective, in cerca di qualche segnale che potesse smascherare la continua assunzione di sostanze stupefacenti da parte dell'uomo. Tuttavia non ne vide traccia. Il suo sguardo era fermo, attento; il colorito della pelle sano, i muscoli rilassati. Sherlock era indubbiamente in forma e a John non serviva alcun tipo di conferma ulteriore per dirsi certo della cosa.

Dal lato opposto il detective analizzò rapidamente l'amico, la fronte leggermente aggrottata, le mani nelle tasche, le labbra tirate. Aveva avuto spesso a che fare con John in quello stato, quando era pronto a chiarire una determinata situazione ma anche intenzionato a piantare per bene dei paletti su ciò che era disposto ad accettare ma solo per una volta. A quel pensiero un leggero sorriso affiorò sulle labbra di Sherlock, il quale fece un cenno leggero con il capo per salutare l'amico.

«Sei qui per scusarti dell'altra sera, non è così?»

John, di tutta risposta, sollevò le sopracciglia. «Non penso che debba essere io quello che si deve scusare. Non hai fatto un esame di coscienza in questi giorni?»

«Superfluo» sbuffò l'altro.

Il medico alzò gli occhi al cielo, consapevole di essere davanti al solito Sherlock di sempre. Fece per replicare ma il detective glielo proibì con un gesto. Sollevò la mano sinistra e senza dire nulla indicò l'ingresso del 221B. Era il sottile messaggio con cui invitava l'amico a entrare per chiarirsi, magari anche in compagnia di Emily. John acconsentì in silenzio, rimanendo dietro a Sherlock mentre questi estraeva le chiavi di casa e faceva scattare la serratura.

Tuttavia, appena il detective ebbe varcato la soglia si fermò, ricettivo. Si osservò attorno con attenzione, respirando l'aria, decifrando la polvere. John si portò accanto a lui e lo guardò, in un primo momento dubbioso, poi capì dallo sguardo dell'amico che qualcosa non andava.

«Mrs. Hudson» chiamò d'improvviso Sherlock, la voce ferma, decisa.

La donna si affacciò da casa sua poco dopo. Guardò i due uomini e sorrise a entrambi.

«Oh, buonasera John, car-»

«Dov'è Emily?» la interruppe Sherlock.

La donna parve sorpresa da quella domanda.

«Di sopra» rispose «Non l'ho sentita uscire, che io sappia. A meno che non sia andata via questa mattina mentre ero a fare la spesa, ma sono rimasta fuori così poco che-»

Nuovamente il detective non la lasciò finire. Percorse a grandi passi gli scalini che lo separavano dal proprio appartamento, scomparendo. Mrs. Hudson lo guardò confusa, ma John capì che avrebbe fatto meglio a seguirlo in fretta.

Raggiunse il piano superiore, trovando il detective intento a mettere sottosopra il soggiorno. Lo vide spostare fogli, oggetti, vestiti, nervosamente, facendo scorrere gli occhi anche nei punti più nascosti.

«Che succede?» domandò fermo John, intenzionato a far capire all'altro che voleva essere reso partecipe della situazione.

«Emily» disse solo il detective, continuando a frugare in giro.

The young redheadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora