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I primi due mesi di convivenza fra Sherlock ed Emily erano trascorsi piuttosto in fretta e calmi. In quell'arco di tempo nulla di eclatante era accaduto e la cosa aveva dato modo ai due nuovi coinquilini di approfondire la propria conoscenza, per quanto possibile. In quei giorni, infatti, il rapporto fra la studentessa e il detective non aveva preso svolte decisive. Sherlock aveva avuto fra le mani cinque diversi casi a cui lavorare, cosa che gli aveva dato la possibilità di non mostrare troppo del suo lato da sociopatico iperattivo alla ragazza. Emily, invece, aveva seguito passo passo il detective nella corretta conclusione delle indagini con entusiasmo crescente, alternando le lezioni allo studio sui libri e all'analisi sul diretto interessato per la sua tesi. In quei mesi aveva avuto modo di immergersi nel mondo di Sherlock Holmes, qualcosa in continuo bilico fra l'intrigante, il misterioso e il deduttivo, un mondo che l'aveva sorpresa e che la esaltava sempre di più. Frequentando Sherlock aveva approfondito l'amicizia con John Watson – e che si era dimostrata una persona ancora più apprezzabile rispetto alle sue più rosee aspettative – con la moglie Mary – donna capace, intelligente e pratica - e perfino con Molly e Lestrade – che le piacevano di più a ogni nuovo incontro. La nuova vita della ragazza a Baker Street si stava dimostrando entusiasmante e ogni giorno che trascorreva in quelle mura si trovava sempre più desiderosa di passare lì dentro l'eternità. Per quanto Sherlock fosse instabile nell'umore, facilmente irritabile e anestetizzasse la noia con metodi discutibili lei era felice di averlo come coinquilino. Allo scadere del suo secondo mese si sentiva parte di quella casa e aveva notato, con sua piacevole sorpresa, che anche il detective sembrava considerarla in tale maniera. Non che le dedicasse attenzioni particolari, ma rispetto ai primi giorni di convivenza, Emily si era accorta che Sherlock aveva iniziato a vivere nella consapevolezza di condividere la casa con qualcuno. Una parte della ragazza – piuttosto piccola e insicura – avrebbe giurato che il merito fosse esclusivamente di quel primo faccia a faccia vinto da lei sull'uomo, quando il motivo della loro disputa era la parete ingombra di fogli di carta, riconducibili al "loro" primo caso.

Quella parete, da cui Emily pensava fosse iniziato realmente tutto, era tornata a essere spoglia solo poche settimane dopo quella sera. La metà del muro che la studentessa aveva strenuamente difeso – incrementando in quel momento l'interesse che il detective provava per lei – si era poi svestita poco a poco delle carte e degli articoli di giornale. Tuttavia non erano stati eliminati, ma riposti con cura dalla ragazza in una valigetta – nascosta sul fondo del suo armadio – come ricordo.

Fuori dal civico 221B il clima si era irrigidito in quei due mesi; aveva dato l'avvio a quello che pareva già essere un inverno freddo, mentre la pioggia, immancabile su una Londra novembrina, bagnava la città a intervalli regolari. Quel venerdì pomeriggio, dopo le quindici, l'acqua sembrava non volerne sapere di smettere di scendere sulla città. Un vento freddo sferzava l'aria e fra il via e vai di persone lungo Baker Street, il riconoscibile ombrello giallo di Emily si faceva strada accanto a uno grigio dalla trama scozzese. Nulla sarebbe sembrato insolito, se non fosse stato che l'ombrello giallo e la sua luminosa nota di allegria, erano fra le mani di Sherlock Holmes.

L'uomo si faceva largo lungo il marciapiede, cercando nella tasca del cappotto il mazzo di chiavi per poter rientrare e togliersi dalla strada – e dalle persone – il più in fretta possibile. Accanto a lui John parlava del più e del meno, senza aspettarsi esattamente una risposta dall'altro.

Entrarono al 221B, salutarono Mrs. Hudson e percorsero la rampa di scale fino in cima. Una volta dentro John si fermò, si guardò intorno e senza riuscire a trattenersi disse: «Mi sembra difficile credere che Emily ti permetta di lasciare questo casino ovunque.»

The young redheadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora