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Pioveva. Il cielo sembrava essere la perfetta fotocopia di quello che aveva accolto Emily il primo giorno al suo arrivo a Londra. Era come venir trasportati indietro nel tempo: la pioggia copiosa, il frettoloso via e vai delle persone, la stazione metropolitana di Baker Street, l'ombrello giallo sopra la testa. Emily si sentiva quasi strana a camminare in quel déjà-vu, se non fosse stato per il fatto che era ben consapevole che in realtà era tutto diverso rispetto a quella prima volta.

Camminando a passo sicuro, facendosi largo come era ormai diventata abitudine, la ragazza risalì Baker Street in fretta, raggiungendo il civico n° 221B. Si fermò di colpo, davanti all'ingresso, sentendosi emozionata. Non tornava in quella casa da due settimane e le era mancata moltissimo. Aveva trascorso un piacevole natale con la propria famiglia, capodanno con la sua ristretta cerchia di amici, tuttavia non aveva smesso di pensare per un solo giorno a quello che aveva lasciato a Londra, a quella casa.

Aprì la porta d'ingresso raggiante ed entrò, chiudendo l'ombrello.

Mrs. Hudson si affacciò e appena la vide la raggiunse per salutarla.

«Ben tornata, cara» le disse.

Emily l'abbracciò istintivamente. Non riusciva a capire bene nemmeno lei il perché di tutta quella sua felicità, fatto sta che non riusciva a tenerla a freno.

«Come sta Mrs. Hudson? È successo qualcosa durante la mia assenza?» le chiese.

La donna si strinse nelle spalle, preparandosi a rispondere. Alla fine, però, pensò fosse meglio invitare la ragazza in casa per un tè, come usava sempre fare.

Davanti a una tazza di Earl Grey fumante sia Emily che la padrona di casa si raccontarono a vicenda quelle che erano le novità delle ultime due settimane. In quel lasso di tempo non era successo molto a Baker Street e fu semplice per la ragazza capire che, con tutta probabilità, ciò significava anche ricongiungersi con uno Sherlock Holmes sull'orlo di una crisi.

Terminato il tè e i convenevoli, Emily si avviò verso il primo piano dell'edificio, quella che sentiva a tutti gli effetti come una casa. Si trascinò lungo le scale il piccolo trolley in cui aveva stipato quanti più vestiti possibili e raggiunta la porta che dava sul soggiorno, l'aprì sorridendo.

Dentro, tuttavia, non trovò nessuno. Controllò l'orario; erano le dieci del mattino, c'erano buone possibilità che Sherlock fosse in giro, eppure le sembrò strano non trovarlo lì, magari a sedere sulla sua poltrona a pizzicare annoiato le corde del violino, oppure a fissare intensamente un punto guardando, in realtà, ben al di là di esso.

«Sherlock» provò a chiamarlo.

Non ricevette risposta e questo le bastò per convincersi del fatto che il detective non fosse in casa. Istintivamente guardò la parete alla destra dell'ingresso, trovandola spoglia. Ciò significava che Mrs. Hudson aveva ragione, ovvero che nessun caso interessante era stato sottoposto al suo coinquilino. Si mosse nel soggiorno osservando attentamente intorno a sé, alla ricerca di qualcosa di diverso, inatteso. Sopra al camino tutta una serie di carte era, come da abitudine, infilzata da un lungo coltello a serramanico, da cui alcuni fogli pendevano oltre il bordo del ripiano. Fra quelle carte miste la ragazza individuò la busta marrone che aveva dato a Sherlock il giorno prima della sua partenza, quella che aveva trovato sotto la porta e che aveva ingenuamente scambiato per la lettera di qualche ammiratrice. Era lievemente sorpresa di vedere che il detective l'aveva tenuta, più che altro perché, nonostante quello che avrebbe potuto racchiudere, poteva essere stato solo uno strano scherzo.

The young redheadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora