13) Un giorno... Da schifo e l'altro da... Amico

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Quando riapro gli occhi sono ancora a Hyde Park, quindi questo significa che non era un sogno, è davvero successo tutto: io, Jamie e Cassandra.

Sono le sei e il sole è già calato. Sono passate diverse ore, quindi provo a riaccendere il cellulare. Subito inizia a suonare, arrivano diverse chiamate perse di Jamie: venticinque per l'esattezza. Non nascondo che sapere che mi ha cercata tutte queste volte mi fa piacere, anche se ora come ora non mi va di sentirlo, però spero che almeno si sia stancato il ditino a furia di digitare il mio numero per venticinque volte.

Gli altri trilli sono dei messaggi da Noah. Ancora?

"Non vuoi essere mia amica bocconcino?"
"Quando posso passare?"
"Va bene adesso?"

Quest'ultimo messaggio è di pochi secondi fa e quasi mi cade il telefono di mano quando sento la sua voce. «Mi stai evitando? È da maleducati non rispondere ai messaggi, lo sai?»

Mi volto e lo trovo a pochi passi alla mia sinistra che sorride con tutta la sua sfacciataggine. Indossa una tuta da jogging grigia e saltella sul posto per non perdere il ritmo della corsa.

«Mi spiace che la mia strafottenza ti ferisca» scatto in piedi. Non è il momento per una delle sue personalità.

«Asociale» con espressione di sfida socchiude gli occhi verdi a formare due fessure e tirando su un angolo della bocca in un ghigno provocatorio.

«Cafone» ribatto, scrutandolo a mia volta.

Smette di saltellare e si avvicina. Io però, chino il capo, non voglio che veda il mio viso rigato di lacrime. Mi mette due dita sotto il mento, il suo tocco è delicato e non so perché, ma non te lo aspetti da un tipo così dall'aria da duro. Mi paralizzo quando mi accorgo che il mio cuore accelera e io che pensavo fosse ancora in stand-by. Le sue dita fanno una leggera pressione, incontro i suoi occhi attraversati da una strana luce.

È dispiaciuto per me? Sembrerebbe, ma non ne sono sicura, non si può mai sapere con questo qui. Sono stupita anche io di non aver iniziato a correre come faccio di solito. Penso di essermi allenata abbastanza per potermi iscrivere alla prossima maratona. È inutile fuggire dai problemi, ti trovano sempre, ovunque tu vada. Oltretutto mi sembra un tipo abbastanza atletico, se iniziassi a correre, mi acciufferebbe in men che non si dica.

«Cosa è successo? Qualcuno ti ha fatto del male?» si acciglia, passando in rassegna il mio volto con le sue iridi di smeraldo che si muovono velocemente, come se potesse scorgervi una risposta.

«Niente. Non è successo niente. Ma per caso mi segui?» fa cenno con la testa di assenso. «Devo preoccuparmi?» lascia la presa e indietreggia di un passo, sorridendomi di sbieco.

Si massaggia il mento pensante. «Mmm... Non saprei, sto decidendo se farti prima a pezzetti, o ucciderti e poi farti a pezzi» trattiene una risata quando vede che sto riflettendo sulle sue parole.

«Esilarante» commento sarcastica, trattenendo un riso. «Ma resta il fatto che non capisco come mai sei sempre nei dintorni. Vuoi rapirmi e vendere i miei organi al miglior offerente?» mi metto a braccia conserte e mi accorgo che il peso che avevo sul cuore è divenuto più leggero, ora che lui è qui.

Sono un controsenso fatta persona! Lo detesto e mi fa saltare i nervi, ma la sua presenza mi tranquillizza anche.

«Mi piace fare jogging. È uno sfogo. Dovresti provare, così tiri fuori tutta quella rabbia repressa che sfrigola sotto la tua morbida pelle» il suo modo di parlare è quasi teatrale e sembra sempre che qualsiasi cosa dica sia studiata a tavolino, calcolata per mettermi a disagio.

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