37) Adesso comprendo come si deve sentire uno Shar Pei

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«Rosie? Sei con me?» la voce del mio amico mi arriva da lontano, ma mi riscuote facendomi alzare la testa dal mio yogurt ancora tutto intero. Siamo nella mensa della scuola, seduti uno di fronte all'altro e Sam mi sta raccontando qualcosa.

«Sì, scusa. Dicevi? I compiti che mi sono persa, giusto?»

«Questo, dieci minuti fa. Sono passato oltre» comunica, incrociando le braccia sul tavolo che ci divide e donandomi uno dei suoi sorrisi dolci che scaldano il cuore.

Non è che parlare delle lezioni che ho perso in questi giorni mi annoia... di più. Ma non è questo che mi ha fatto perdere il filo del discorso: è la stanchezza. Sono a pezzi.

Adesso comprendo come si deve sentire uno Shar Pei: ho le palpebre così pesanti che nemmeno la famosa tecnica degli stuzzicadenti mi aiuterebbe, mi si conficcherebbero solo nella carne... solo!

Ho fatto le ore piccole a causa di Noah. Ieri sera l'idiota ha deciso di mandare in bancarotta il bar, tracannando quanti più grog il suo fegato potesse sostenere. Ha cercato di coinvolgermi e quando ha capito che ci tengo troppo al mio di fegato per intossicarlo con questi grog, che altro non sono che una miscela di acqua e rum senza ghiaccio, ha intrapreso questa sfida contro sé stesso.

Alla fine della serata, essendo ubriaco perso, gli ho chiesto di darmi le chiavi della macchina, ma si è rifiutato. Così abbiamo dovuto aspettare Joseph che terminasse il turno e che mi portasse a casa. Alle quattro mi sono addormentata e alle sette la sveglia mi ha traforato il cranio.

«Scusa Sam. Mi sono distratta» mi giustifico, richiudendo il vasetto di yogurt e mettendolo da parte.

«È successo qualcosa?» aggrotta le sottili sopracciglia, osservandomi con attenzione.

«No. Niente. Purtroppo non è successo niente.»

Dalla sua espressione capisco che ha inteso a cosa mi sto riferendo: Jamie. Non ho sue notizie da cinque giorni. Ho composto il suo numero diverse volte, ma mi è mancato il coraggio di far partire la chiamata. Non avrei saputo da dove cominciare e non so se fossi stata in grado di affrontare ancora il suo atteggiamento ostile.

«Come sta?» mi informo con tono di voce così basso che stento a udire io stessa.

«Rosie» il mio amico si lascia andare nello schienale della sedia. «Sarò sincero» da come ha iniziato mi aspetto che mi dica che Jamie tiene in camera sua decine di strane bambole che mi somigliano molto con tanti spilli infilzati nel corpo. «Mi ha detto che se mi avessi chiesto di lui non avrei dovuto dirti nulla, ma mi sembra stupido e come sai non voglio essere coinvolto. Resto tanto suo fratello quanto tuo amico, e non mi schiererò mai dalla parte di nessuno» ha un'aria risoluta.

«Grazie Sam» gli sorrido timidamente. Penso di essere stata tanto fortunata ad aver incontrato un amico come Sam.

«Quindi la verità è che non sta tanto bene» dice con rassegnazione e il mio cuore manca un battito. Aspetto trepidante che continui. «È molto nervoso e quando ho provato a parlargli di te, ha dato in escandescenza intimandomi di non nominarti più» è mortificato e triste mentre parla.

E io provo la sua stessa malinconia se penso ai sei anni che ci hanno uniti, che ci hanno visti affiatati. I fratelli Brown mi hanno sempre protetta, mi hanno trattata come una di famiglia, come se avessi sempre fatto parte della loro vita, e lo stesso vale per me.

Ma ora che ci troviamo in questa situazione mi tornano in mente le parole di Jamie quando si è fatto avanti e mi ha confessato i suoi sentimenti: aveva paura che il nostro rapporto ne risentisse.

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