56) Ubi maior, minor cessat

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Quando ho aperto gli occhi questa mattina ho avuto una specie di risveglio spirituale. Non voglio parlare di Dio, dell'universo e della mia essenza, ma sto parlando di un fattore importante che ha sbloccato una parte di me che prima dormiva a mia insaputa.

Mi sono svegliata con una consapevolezza, con una percezione di me stessa e dei miei sentimenti. Fino ad oggi ho pensato che quelle emozioni che ho sentito fossero la maggior espressione del mio amore, e invece ieri ho scoperto che non ho vissuto i miei sentimenti con tutta l'intensità di cui sono capace.

Parlo di risveglio spirituale perché Noah ha trovato un interruttore dentro di me e quando l'ha piggiato, mi ha svegliato dal mio stato di incoscienza, in cui la mente, quindi la razionalità, ha pilotato la mia vita, ha interferito col mio cuore.

Parlo di risveglio spirituale perché sono riuscita, dopo un bel po' di tempo, ad addentrarmi, a esplorare dentro di me ed essere consapevole, rendermi conto di quello che la mia mente nascondeva nel profondo del mio essere da quando ho incontrato Noah.

Ecco. Lui è la "sveglia", la causa del mio risveglio dall'intorpidimento psicofisico con cui siamo abituati a convivere.

Il ballo è stato solo l'apice, il soffio che ha diradato la nebbia che mi offuscava la vista sui miei desideri: ho sempre voluto Noah dall'attimo in cui i nostri occhi si sono scontrati, ma quella parte di me assopita, rimandava la "sveglia" in un momento successivo proprio come succede quando suona al mattino e la rimandiamo per dormire ancora un po'.

Ubi maior, minor cessat: dove vi è il maggiore, il minore decade. È la locuzione latina che si usa per indicare che qualcosa di più importante, in questo caso il cuore e la consapevolezza dei miei sentimenti, prevale sulle paure, sulla mente.

Mi chiedo ancora perché il prof di latino mi mette una semplice sufficienza.

Trovo papà al tavolo in cucina, concentrato su dei fogli che, quando mi vede, mette via frettolosamente.

«Buongiorno, Rosie» saluta infilando quello che stava leggendo attentamente nella sua borsa da lavoro appesa alla sedia.

«Buongiorno papà. Cosa leggevi?» lo guardo mentre mi verso il caffè.

«Niente. Dei preventivi» accenna un sorriso visibilmente forzato e la cosa non mi convince.

«Preventivi per cosa?» insisto.

«Nulla. Per delle apparecchiature che ho richiesto per il ristorante» si tiene occupato a cercare qualcosa nella borsa come se si tenesse impegnato per non guardarmi negli occhi.

Assottiglio le palpebre e lo scruto con sospetto. «C'e qualcosa che non mi dici? Va tutto bene?»

«Ma certo, figliola. Oggi ti do la giornata libera visto che è il tuo primo giorno di vacanza» mi scompiglia i capelli affettuosamente. E il tentativo di sviare il discorso è palese.

«Papà?» lo cantileno come si fa con i bambini come per ammonirlo.

«Hai smesso di fare il genitore apprensivo?» usa un tono scherzoso.

«Colmo le tue lacune» lo prendo in giro.

«Avresti voluto che ti facessi il terzo grado tutte le volte che dovevi mettere la testa fuori di casa? Posso sempre cominciare.»

«No. Mi è andata bene così» mi affretto a rispondere. Per fortuna papà non mi ha mai privato di nulla. Un genitore presente, ma non invasivo a tal punto da volere i numeri di tutti quelli con cui esco: ha preso solo quelli di Ginnie e Sam.

«Vado a prepararmi» mi comunica e prima di andare via mi bacia la fronte, lasciandomi piacevolmente interdetta.

Non faceva questo gesto da quando avevo otto anni, credo. E sono contenta che il nostro rapporto stia migliorando. Siamo la prova che quando c'è un problema bisogna parlarne.

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