38) «Felici Hunger Games!»

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Stamattina al mio risveglio non c'erano uccellini cinguettanti, melodie armoniose, i raggi del sole a lambirmi il viso, no.

Punto uno: l'unica melodia che ho udito era lo strombettare dell'aggeggio infernale che gli umani chiamano sveglia.
Punto due: di uccellini neanche l'ombra e il motivo è riconducibile al punto successivo.
Punto tre: il sole ha battuto in ritirata. Scende acqua a catinelle da farmi preoccupare che stia arrivando il diluvio universale e che gli uccellini si siano rifugiati da Noè.

Il risveglio perfetto insomma. Il malumore è assicurato. Ho già appuntato nel promemoria incorporato nella mia mente di cercare su Wikipedia chi ha inventato la sveglia, scovare la sua tomba e sputarci sopra.

Tralasciando questi pensieri poco ortodossi, oggi voglio presentare colei che mi accompagna da anni sul lungo cammina della vita, divenuta parte di me e compagna indiscussa di avventura. Signore e Signori ecco a voi: Ansia.

Se qualcuno volesse sapere cosa significa avere un parassita che alberga dentro di sé, basta riferirsi alla sottoscritta. Lo riassumo in tre sillabe: fa-schi-fo!

La domanda sorge spontanea: «Ehi Rosie, cosa diavolo ti ha fatto il mondo?»

Niente. Il mondo non mi ha fatto nulla se proprio vogliamo dirlo, ma è il tempo che, col suo scorrere inesorabile, mi ha sbattuto in faccia la realtà del calendario.

IL VENERDÌ.

Il giorno che molte ragazze normali attendono trepidanti per iniziare un altro weekend che probabilmente non ricorderanno nemmeno a causa dei litri di alcool che ingurgiteranno.

Io invece non mi scompongo.

Per me è un ormai abituale venerdì da passare al Roxy's a lavorare. Una passeggiata. Una piroetta. Una cosa semplice come bere un bicchiere d'acqua, direbbe qualcuno al posto mio.

Invece no, al posto mio ci sono io, e quindi dico che è semplice come bere da una tanica cinque litri d'acqua tutta d'un fiato.

Lo sclero è in atto.

Se mio padre, davanti a me intento a scandagliare il suo giornale da cima a fondo come ogni mattina, si rendesse conto delle stronzate che partorisce la mia mente, deciderebbe di farmi lobotomizzare.

Comprensibile. Come potrei dargli torto. Forse gli stringerei anche la mano per il favore così non sarei più costretta a convivere con le mie pippe mentali.

Salto in piedi dalla sedia, troppo irrequieta per stare seduta. Metto le tazze e i piatti sporchi della colazione nel lavabo, e mi accorgo che le mani sono colpite da un debole tremolio.

La causa dell'umore uterino e di tanta agitazione che mi sta tormentando sono gli Addiction che stasera suoneranno al Roxy's.

Una brutta sensazione alla bocca dello stomaco mi sta mettendo in allarme. Vorrei chiamare Ryan e dargli buca, ma l'ape operaia che mio padre mi ha instillato nel profondo dell'animo mi sta pizzicando col suo pungiglione.

«Rosie?» la voce di papà mi desta dalle mie elucubrazioni da persona psicolabile. Mugolo un verso per fargli capire che lo sto ascoltando. «Volevo sapere se stasera lavori.»

«Ah ah» rispondo senza prestargli troppa attenzione e continuando a sciacquare le stoviglie.

«E come ti trovi a lavorare in una discoteca?»

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