13. decisions

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somewhere above the Indian Ocean; 15:38 pm.

Mancava poco all'atterraggio, questione di un oretta massimo, cose che mi rassicurava molto. Anche se avevo dormito per quasi tutto il volo sentivo già gli effetti del jet-lag, soprattutto sotto i miei occhi: enormi occhiaie violacee mi facevano sembrare quasi un panda.
Giro la testa verso il finestrino, che dava una stupenda visione delle nuvole pomeridiane.
«Sei sveglio?» Chiede di punto in bianco Connor, spaventandomi.
«Si ora si.» Sorrido stiracchiandomi completamente, e poggiando un braccio dietro la testa di Connor.
«Scusa.» Borbotta per poi spostarsi dalla mia presa.
«Che hai ora?» Domando piuttosto deluso e confuso allo stesso tempo. Il ragazzo si gira completamente, trovandosi così faccia a faccia con me. Sbatte piano gli occhi, quasi contemplando una misteriosa bellezza, a volte arriccia il naso con dissenso o preme le labbra.
«Connor?» Ripeto ancora più stupito di prima.
«Nulla, non ho voglia che qualcuno mi tocchi, sono piuttosto nervoso.» E detto questo, mi da ancora le spalle.

Non ero esattamente sicuro di cosa fosse appena accaduto, ma ero certo che non mi stava dicendo la verità. Che mi tenesse nascosto qualcosa? O forse una domanda che non aveva il coraggio di porre? Ad ogni modo, mentre guardo i capelli scompigliati di Connor, mi rendo conto che non lo saprò mai. E forse questa consapevolezza mi aiuta a viaggiare col pensiero nei possibili scenari e dichiarazioni che il ragazzo, d'un tratto, poteva fare. Mentre ero forse arrivato alla più impensabile delle ipotesi, nonché la più soddisfacente e arzigogolata, la voce metallica dell'altoparlante comunicò che in pochi minuti avremmo toccato finalmente terra.
«Ci siamo, si torna a casa.» Ripeto tra me e me.
Ero in parte davvero felice di essere a casa, ma dall'altro canto sentivo già la mancanza dei miei amici, e perché no, anche di Tyler. Che in realtà potevo inserire nella categoria "amici", ripensandoci. Guardo fuori dal finestrino: le luci dell'aeroporto si distinguevano anche da qua su.

Questione di attimi che io e Connor eravamo già in macchina, diretti verso casa.
«Io dovrei parlarti.» Comincia Connor, di punto in bianco nel silenzio della macchina.
«È una conclusione che mai avrei pensato di prendere.» Continua per poi fare un altra pausa, prendere un grande respiro e continuare: «Beh in realtà si, ma non così. Forse non è nemmeno il momento giusto, ma io non ce la faccio Troye, ti voglio solo per me.» Sbotta con enfasi.
Personalmente non potevo fare altro che fissarlo con occhi sorpresi. Guardavo le sue mani strette sul volante e gli occhi, diretti alla strada davanti a sé.
«C-che vuoi dire?» Riesco a blaterare, preso dalla forte paura ed emozione. Che mi stesse per dire ciò che aveva tenuto nascosto in aereo? Rispolverai le mie ipotesi, e in questa tangente solo una mi sembrava possibile, quella su cui fantasticavo durante il viaggio.
«Intendo dire che ... uh.» Borbotta qualcosa sotto i baffi, per poi passare una mano sulla fronte.
«Che ne dici se ci sposiamo?» Fisso il ragazzo davanti a me senza avere il coraggio di proferire parola.

Heathrow airport, London, UK, 12:00 am;

Picchiavo nervosamente il piede sulle valige che erano adagiate sul suolo. Stavo aspettando Korey da un ora, ma non era ancora tornato dal bagno, e per quanto mi scocci ammetterlo, ero terribilmente preoccupato. Che si fosse perso? Se fosse veramente accaduto non sarei mai più riuscito a trovarlo, considerando che ho un senso di orientamento pari a quello di un criceto che ha passato tutta la sua vita in una gabbia, e lui peggio. Il nostro volo era in programma nel tardo pomeriggio, sicché Korey ne aveva approfittato per andare al bagno ed io per fare uno spuntino. Ma ora mi stavo pentendo della mia scelta per due motivi, il principale era appunto aver smarrito Korey, l'altro era che il panino maionese e uova inglesi mi aveva fatto venire la nausea. Guardo l'ora ed è malapena mezzogiorno. «Ora sbocco sulla signora.» Penso alzando le sopracciglia.
«Tutto bene giovanotto?» Mi chiede di punto in bianco, ed io mi limito ad annuire, anche perché aprire la bocca sarebbe stato ancora più rischioso.
«È un po' verde.» Mi fa notare, ed io un altra volta annuisco.
«Sa, vado a trovare mio nipote in Missouri. Non lo vedo da quando era alto così» E nel bel mezzo del discorso indica con la mano approssimativamente l'altezza del pargolo «È il figlio di mia figlia, si chiama Isaia. Guardi, gli ho fatto una bella copertina, sa, l'ho ricamata io, che gliene pare?» E quando intuisco che non potevo più tenere la bocca chiusa, commetto quel grande errore. Schiudo le labbra per complimentarmi del regalo per Isaia, quando senza rendermene conto, vomito tutto quello che avevo mangiato sulle gambe della signora e su un lato della bella copertina.
«OH MIO DIO.» Urla la signora schifata, facendo girare praticamente mezzo aeroporto verso di noi.
«Lei brutto essere, come si permette di rovinare il mio bellissimo regalo, e per di più vomitarmi addosso! È un cafone, uh, ... , un maleducato, che schifo!» La signora continua a riempirmi di insulti che però hanno un lato positivo, mi fanno ritrovare Korey. Il rumore che la donna crea aveva attirato anche l'attenzione del mio amico che era corso nella mia direzione.
«Tyler! Non ti trovavo più, uff che fatica... ma che ...» D'istinto mi alzo, prendo le valige, indenni dagli schizzi di vomito, e mi allontano il prima possibile.
«Ma che diamine.» Borbotta Korey, ancora visibilmente confuso.
«Non fare domande, Korey, non fare domande.» Mormoro passando una mano sotto il mento, nel tentativo di pulirmi.

Starbucks, Perth, Australia, 5 pm;

L'aria fredda di inizio autunno mi sferzava il viso, arrossandolo. Faceva strano pensare che a Londra ora, era appena arrivata la primavera, mentre nell'emisfero sud, l'autunno. Mi stringo nel mio capotto e osservo la vita di Perth che si spegneva sotto i miei occhi. La maggior parte delle persone con l'arrivo del buio se ne stavano tornando a casa, chi in macchina e chi a piedi.
In quanto a me avevo appena iniziato la mia passeggiata-schiarisci pensieri, ed il mio ritorno da Connor era previsto verso le sei di sera, sempre se si trovasse ancora in questa città, o persino stato. Svolto l'angolo e attraversai la strada, diretto forse nell'unico posto a Perth ancora aperto questo periodo dell'anno.

Apro la porta del locale, e vengo accolto dal suono di un campanellino.
«Buongiorno.» Mi sorride il ragazzo dietro al bancone. Mi guardo meglio attorno, e noto di essere l'unico cliente nel bar deserto.
«Buonasera oramai ... » Borbotto più a me che altro. Il ragazzo imbarazzato passa la mano dietro la testa e si gratta i ricci neri.
«Beh in effetti ha ragione... mi dica, in che posso servirla?» Osservo con cura il menù che si trovava alle sue spalle, e dopo una lunga ed accurata riflessione, opto per un lemon tè caldo con dello zenzero.
«Ottima scelta, è il mio preferito.» Mi sorride di nuovo, ma questa volta non posso fare a meno di notare quanto fosse stupendo.
«Può andare a sedersi, non penso mi dimenticherò a chi appartiene la bibita.» Ridacchio, ed io annuisco. Mi accomodo ad uno dei tavoli con vista strada, vicini quindi alle vetrate del negozio. Il sole scendeva sempre di più, e con il scendere della sera meno persone affluivano nelle strade. Controllo il mio cellulare e noto un paio di messaggi da parte dei miei familiari. Non mi sforzo nemmeno di leggerli e blocco di nuovo la schermata.

Mi lascio sfuggire un verso di disapprovazione mentre metto le mie mani nei capelli. Avevo forse fatto la scelta sbagliata? Me ne sarei pentito? Non ne avevo la più che minima idea.
«Problemi d'amore?» Alzo lo sguardo dal tavolo e ritrovo ancora il sorriso del cameriere.
«Più o meno.» Borbotto prendendo la bibita che mi stava porgendo.
«Capisco, sa, mio nonno diceva sempre che le persone che trovi in giro al tramonto sono quelle che soffrono d'amore. Non ho idea in base a che criterio, ma fino adesso ci ha sempre azzeccato.»

Abbozzo un sorriso e con un gesto della mano invito il ragazzo al mio tavolo.
«Posso sapere il tuo nome, barista indovino?» Lo stuzzico, aggiungendo quel pizzico di malizia alla frase.
«Jacob, il mio nome è Jacob.»

Jealousy [Troye Sivan]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora