Capitolo IV

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Quella mattina Anastasia Stan s'era preparata per l'occasione.
Un camicia, un jeans e il libro stretto tra le braccia come una reliquia di chissà che valore inestimabile.
Era arrivata fuori alla libreria prima che quest'ultima fosse aperta dal proprietario.
«È qui di buon'ora» aveva detto l'uomo di mezz'età che con certa velocità aprì il negozio.
Quest'ultimo la guardava con stranezza, una donna che alle otto del mattino si presentava in libreria era a dir poco raro a Middleware.
Anastasia silenziosamente lo seguiva con la testa abbassata e il volto leggermente arrossato dall'imbarazzo.
S'era seduta su una piccola sediolina accanto ad uno scaffale, scrutando ogni libro, qualcuno dalla trama più bella a quello meno interessante.
Nonostante la numerosa varietà di generi e di tipologie di romanzi Anastasia prelidigeva sempre quello di Mike Nelson.
Era totalmente immersa nella sua lettura tanto che non se ne era accorta neppure di chi entrasse o uscisse da quell'immenso paradiso.
«Cosa stai leggendo signorina?»
«Golden Lake, il libro di Mike Nelson trovo che sia molto affascinante il modo in cui racconta le sue esperienze... non mi annoia mai la sua narrazione, non smetterei mai di leggerlo»
«Ti ringrazio per i complimenti, quindi devo supporre che sei una mia lettrice affezionata, o sbaglio?»
Le pareva di avere un miraggio, davanti a lei si trovava colui che in poche ore era riuscito a farle cambiare idea.
Un uomo eccentrico, ricco e senza timore.
Non dava peso alle minacce ne tanto meno ai pareri contrastanti delle persone che lo circondavano.
Un uomo affascinante sia dentro che fuori, nessuno riusciva a resistergli grazie al suo portamento elegante e quella voce calda e carismatica.
Una persona che una volta conosciuta sarebbe stata difficile da eliminare dalla propria testa.
Occhi azzurri e capelli di un biondo scuro, sorriso smagliante, in forma e dalla figura alta.
Anastasia per un attimo aveva completamente dimenticato la cotta per Simon e s'era più che altro concentrata sulla bellezza di un ragazzo cresciuto da un pezzo.
«È un piacere poterla vedere...sono qui proprio perché volevo incontrarla e darle questa lettera»
«Per quanto io ami la scrittura, visto che siamo soli noi due ti conviene parlarmi ora, che ne pensi?»
«Ha ragione» aveva balbettato.
«Permettimi,come ti chiami?»
«Anastasia...Anastasia Stan» la ragazza provava una certa adrenalina.
I suoi polmoni si riempivano di un profumo dolcissimo e dall'estremo imbarazzo riusciva a malapena a guardare negli occhi Mike.
L'ambiente pur essendo una qualsiasi libreria, era molto intimo ed accogliente forse perché erano rannichiati in un angolino remoto di quest'ultima fra gli scaffali del reparto "attualità".
Anastasia continuava ad essere ammaliata ed affascinata da ogni singolo movimento che Nelson compiva: quando poggiava il dito leggermente sulle labbra o quando dava un'occhiata al costosissimo orologio dorato.
Tutto tema "Golden" praticamente.
«Sono intenzionata a far parte del progetto che ha finanziato.
Volevo confrontarmi, semmai attraverso un email, per saperne di più o meglio avere una dritta da chi già ha avuto una simile esperienza» aveva chiarito così la sua posizione.
«Sei una delle poche persone che si sono presentate e che hanno una tale sicurezza, ma visto che stiamo parlando da poco più di cinque minuti, ho bisogno di conoscerti meglio per poi ritenere assieme al commissario se sei adatta.
Dovrai seguire un addestramento e dovrai sottostare alle regole imposte dalla polizia» per quanto Anastasia adorasse quella voce soave, non ne poteva più di quella stramba farsa.
«Mi dica una cosa...ma lei cosa centra con la polizia? E come mai dobbiamo perdere tutto questo tempo attraverso inutili addestramenti? Qui sono sparite persone ed hanno bisogno del nostro aiuto. Non dobbiamo combattere una guerra.»
«Signorina non sai neppure cosa si cela dietro quelle quattro fottute mura» la indicava con una mano minacciosa e accusatrice.
«Quindi lei mi sta dicendo che è tutta una bugia? Questa è una favola per far addormentare sereni i bambini la sera?» Mike continuava a scuotere la testa, Anastasia riusciva a far arrabbiare qualsiasi persona.
Era una ragazza troppo schietta che non sopportava minimamente le ingiustizie e i dubbi.
Secondo lei, la vita è fatta di certezze e non di supposizioni.
«Invece ho capito perfettamente, voi state perdendo tempo con le vostre pagliacciate, lei non capisce in questo momento quelle settantotto persone cosa stanno passando e noi continuiamo a chiacchierare. Volete che mi alleni?Mi allenerò ma domani si parte.»
«Affare fatto, signorina Stan» si erano stretti la mano in modo formale.
In quei pochi minuti di chiacchierata erano successe più cose che nei cinque capitoli del libro che stava leggendo più e più volte.
Mike rimase per un po' in silenzio accanto ad Anastasia con lo sguardo perso nel vuoto e mentre stava per alzarsi la ragazza aveva iniziato di nuovo a parlare:
«Chi è Jamie McCartney?»
«Un pazzo, un assassino. Lui fu il primo a far aprire alla polizia il caso Golden Lake, una volta catturato hanno dovuto fargli un'ignezione letale» a quelle parole Anastasia aveva sgranato gli occhi e un brivido aveva percorso la sua colonna vertebrale.
«Cosa successe precisamente, qui non lo ha spiegato nel suo libro» una crisi di panico pervadeva Anastasia, tanto che aveva iniziato ad avere il cuore che le batteva all'impazzata, le mani sudate in costante movimento ed il fiatone.
«Signore, mi scusi se la interrompo ma è desiderato alla direzione, la prego di seguirmi» la discussione fu interrotta da un omone alto quasi due metri.
«Si la ringrazio, arrivo subito.
Anastasia, chiama il tuo capo, prendi una settimana di ferie e corri dalla polizia, non dobbiamo perdere tempo con le pagliacciate.
Ecco un mio biglietto da visita, non perderlo mi raccomando.
Ci vediamo, signorina Stan.» e così Anastasia era rimasta a bocca aperta per circa un minuto.
Le sembrava un sogno, un bellissimo ed adorabile sogno.
Stava per saltare dalla gioia non appena le mani di Mike la sfiorarono per darle il suo fantomatico e tanto atteso numero, sembrava essere tornata adolescente proprio come quando si innamorò di Josh Sullen, il giocatore di football più famoso della scuola.
Quest'ultimo la notò in un corridoio perché la vedeva sempre alle sue partite e quando la salutò, Stasia cadde a terra paralizzata.
Ricordi imbarazzanti che riaffioravano nella mente di una ventiquattrenne scalmanata che nella sua vita se aveva una gioia era anche tanto.
Così s'era alzata in piedi e dopo un respiro profondo, aveva iniziato a camminare verso l'uscita della libreria.
Aveva preso dalla tasca il cellulare e in fretta aveva composto il numero dell'ufficio della a dir poco antipatica mangiatrice di riso Kate Orten, nonché suo capo.
Mentre attendeva che l'odiosa rispondesse al telefono, continuava a riflettere su quale scusa mettere in atto per ottenere le ferie.
Idea! Un familiare malato!
«Buongiorno, sono Anastasia...volevo dirle che mia zia è molto malata e quindi devo andare a Float Hall per una settimana...posso avere delle ferie?»
«Non ne avrai bisogno Anastasia, ti licenzio, ne ho avuto abbastanza!
Ritardi continui e ora ferie! Impara a tenerti un lavoro ed un ragazzo soprattutto...so che ti stai vedendo con Simon e ti ripeterò fino allo sfinimento che non funzionerà mai!»
«Ok, prima che tu mi attacchi questo fottuto telefono in faccia sai che ti dico? Sei ridicola! Una stronzetta senza valori che si crede superiore grazie all'aiuto del papino! Ma sai una cosa Kate Orten dei miei stivali? Tu la spinta la puoi avere solo in cu-»
«Ora smettila e portami rispetto, troia» la miss non sapeva che altro dire.
«Non sei il mio capo, quindi la spinta te la metti in culo, intesi? Adios» e dopo uno sfogo grande e grosso Anastasia aveva chiuso la chiamata.
Non aveva mai avuto una lite così accesa da tempo ma finalmente si sentiva libera da un peso che portava con se da tanto, in pratica da quando era stata assunta.
Ora era disoccupata, sola e la sua unica speranza di toccare con mano la gioia e del denaro era Golden Lake.
Dinanzi a Stasia c'era una lunga discesa che l'avrebbe portata verso alla vittoria, o quasi.

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