WELCOME TO THE MADHOUSE

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Sempre più spesso, con precisione quasi matematica, mi sentivo porre la stessa domanda: "Com'è lavorare ad Arkham?"
Il più delle volte sorridevo educatamente e rispondevo che lavoravo li solo da pochi mesi, ma per una giovane psichiatra come me si trattava sicuramente di un'ottima opportunità di fare carriera e arricchire il mio curriculum, considerati i nomi di alcuni "ospiti" dell'Asylum.
In realtà la risposta che avrei voluto dare era tutta un'altra storia. Arkham era l'Inferno, non solo per gli internati, ma anche per i dipendenti, dagli addetti alle pulizie ai medici.
Quando mi aggiravo per i corridoi dell'antico edificio potevo sentirne il respiro, potevo immaginare quante menti deviate che avevano compiuto chissà quali orrori fossero passate di li e ne avessero impregnato l'aria, a partire dal fondatore stesso del manicomio, Amadeus Arkham, che aveva sottoposto a elettroshock l'uomo che gli aveva assassinato moglie e figlia fino a friggergli il cervello, per poi impazzire completamente anche lui.
I lamenti e le grida dei pazienti al piano di sotto che riuscivano ad oltrepassare lo spesso pavimento mi giungevano fin dentro le orecchie. La stessa sensazione delle unghie che graffiano una lavagna.
"Harleen, lascia che ti confidi un segreto" Mi aveva sussurrato Joan, il giorno in cui ero arrivata "Quando oltrepassi quella porta" E aveva indicato l'ingresso al manicomio "Devi diventare impermeabile"
"Impermeabile?" Avevo ripetuto, confusa.
"Arkham ti inghiotte e ti distrugge se non sei abbastanza forte, ricordatelo sempre. Il segreto è non farsi coinvolgere e soprattutto mai, mai abbassare la guardia. Un momento e ti ritrovi dall'altra parte del vetro"
Da qualche anno a questa alcune delle tradizionali celle in una certa ala del manicomio erano state sostituite con altre le cui pareti che davano sul corridoio principale erano interamente in vetro. Per controllare meglio i pazienti. O almeno i più pericolosi.
Io non condividevo pienamente quella scelta. Per questo cercavo sempre di non fissare gli inquilini di quelle celle, quando passavo loro davanti. Mai fissare un pazzo. Di qualunque genere esso sia.
Perciò, anche quel giorno tenevo gli occhi ben fissi di fronte a me, mentre sfilavo davanti ai matti che avevo l'incarico di curare. In realtà ne avevo in cura soltanto uno al momento e stava andando piuttosto bene.
Naturalmente mi avevano rifilato un pesce piccolo.
Nessuno si fidava di una ragazza con così poca esperienza. Il mio paziente non era famoso, né particolarmente pericoloso, infatti non si era guadagnato l'onore di accedere a una delle famose celle di vetro. Un altro paio di sedute e sarebbe stato dichiarato sano di mente, gli avrei regalato un bel pezzo di carta con il quale si attestava la sua guarigione e sarebbe finito di nuovo a far danni per strada. In realtà era bastato veramente poco per sbatterlo ad Arkham, riflettei: Il "poveretto" aveva tentato di scippare una vecchietta, e quando era praticamente andato a sbattere contro un poliziotto alto due metri nel tentativo di scappare aveva avuto un crollo nervoso. Aveva fatto i capricci in cella la notte successiva, pianto un po' e si era rifiutato di mangiare. Tanto era bastato per spedirlo in quel buco.
Arrivata alla fine del lunghissimo corridoio, illuminato da forti luci bianche, chiamai l'ascensore e attesi, impaziente di tornare al piano di sopra dove c'erano gli uffici dei dipendenti.
Un istante prima che le porte mi si aprissero davanti, qualcuno dei pazienti mi urlò -Fammi uscire biondina! Ho qualcosina per te...lo vuoi?-
Per niente interessata a scoprire l'identità di quel gentiluomo, entrai nell'ascensore e non appena le porte si furono chiuse, tirai un sospiro di sollievo. Mi sarei mai abituata a tutto questo?

-Harleen! Dov'eri finita? - Joan mi corse incontro prima ancora che avessi il tempo di uscire dall'ascensore. La adibita a sala d'attesa era gremita di gente. Che diavolo stava succedendo?
-Ero di sotto, dovevo vedere...-
-Non importa- Mi interruppe lei, spalancando i suoi occhioni scuri -Lo hanno preso e lo stanno portando qui, di nuovo-
La fissai senza capire niente; ma ciò non mi impedì di scorgere un velo di terrore negli occhi della mia amica -Chi??-
Joan mi indicò il televisore sotto il quale si era radunata una consistente folla di persone. Fu allora che capii.
Sullo schermo scorrevano frenetiche le immagini dell'arresto del criminale più famoso di Gotham, dalla risata raccapricciante e inconfondibile. Joker.
"Il clown è stato consegnato alla polizia dall'ormai noto giustiziere mascherato Batman, avvertiamo i gentili telespettatori che le immagini che stiamo per mandare in onda potrebbero turbare la vostra sensibilità"
Mi avvicinai più che potei al televisore, assestando anche un paio di spallate. Il filmato era stato girato con una telecamera a mano e le immagini erano piuttosto mosse.
Il cavaliere oscuro di Gotham spingeva con forza il Joker addosso ai poliziotti, che lo afferravano prontamente mentre il pazzo se la rideva anche se aveva il viso bianco completamente imbrattato di sangue. Batman lo aveva conciato parecchio male.
"Ciao ragazzi, mi siete mancati!" fece il clown rivolto ai poliziotti "Dov'è Jimbo?"
"Sta zitto" Gli intimò uno dei poliziotti che lo teneva saldamente per un braccio.
A quel punto lo portarono via in tutta fretta e il collegamento tornò allo studio, dove la conduttrice continuò a parlare dell'accaduto, ma non la stavo più ascoltando.
Quella era la mia occasione! Lavoravo ad Arkham da tre mesi ormai, e il miglior caso che erano stati capaci di affidarmi era quello di uno scippatore piagnucoloso!
Io volevo il Joker, altroché se lo volevo. Una mente deviata come la sua era il sogno di ogni psicologo. Un labirinto così interessante da farmi venire la pelle d'oca.

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