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-Come sarebbe a dire che ha perso il nastro?- Il vecchio Arkham alzò leggermente la voce, attirando l'attenzione di quelli che passavano in quel momento davanti alla porta del suo ufficio, dove mi ero fatta coraggio e avevo mentito spudoratamente guardandolo dritto negli occhi.
-Non l'ho proprio perso...mi è caduto il registratore dalla borsa quando sono scesa dal taxi e non ho fatto in tempo a raccoglierlo prima che finisse schiacciato dalla ruota. Mi dispiace Dottore...ho scritto una relazione dettagliata di ciò che è stato detto durante il colloquio con il paziente, e in fondo le mie prime impressioni. Tenga- Gli allungai il plico, sollevata nel vedere la sua espressione che andava addolcendosi.
Avevo trascorso quasi tutta la notte a pensare a cosa scrivere su quei fogli immacolati, e alla fine ne era uscito un lavoro semi decente.
La prima parte dello scritto corrispondeva a ciò che realmente era successo durante la seduta, quello che avevo omesso del tutto era ovviamente la seconda parte, che avevo rimpiazzato a dovere...o almeno speravo. Chissà se sarebbe stato così facile ingannare il vecchio Jeremiah Arkham; Jerry, come lo aveva chiamato Joker un paio di giorni prima. Trattenni una risatina.
-Va bene, Quinzel. Per questa volta. Almeno non dovremo preoccuparci che qualcuno lo trovi e lo ascolti, grazie a Dio- Rispose lui, facendomi cenno di andare.
-Già- Mormorai mentre giravo i tacchi e mi dirigevo verso il mio ufficio. Non volevo rischiare di incontrare nessuno, desideravo solo infilarmici dentro e rimanerci il più a lungo possibile.
Ero ancora troppo scossa per ciò che era successo il giorno prima...Sentivo le sue mani tra i miei capelli, il suo odore dentro le narici, su, su, fin dentro la testa.
Mi bloccai di colpo sentendo pronunciare il mio nome da qualcuno dentro la sala riunioni. Era Joan in compagnia di qualcun altro che non conoscevo, riconobbi la sua voce quasi subito e appoggiai la testa sul muro immediatamente prima della porta -...di si, ieri. Probabilmente ha risvegliato le fantasie malate di quel mostro- Stava dicendo la voce che non riuscivo a identificare.
-E allora? Sappiamo tutti che probabilmente è andata a letto con qualcuno per entrare qui; e ora addirittura le danno il Joker? Dopo soli tre mesi? Chi si è fatta stavolta? Arkham in persona scommetto- Joan fece una pausa teatrale -Non sarebbe una sorpresa se alla fine si lasciasse scopare anche dal clown-
Mi mancò il respiro, per un istante. Mi staccai dalla superficie non più fredda dell'intonaco e ripresi a camminare verso il mio ufficio, stavolta lentamente, come un automa. In quei tre mesi mi ero aperta con Joan, l'avevo considerata mia amica, le avevo raccontato il mio passato non proprio semplicissimo, quello di una ragazzina di Brooklyn cresciuta con un padre fin troppo affettuoso, senza lo straccio di un quattrino.
E per cosa? Per farmi dare della puttana? E fu così che senza sapere come o perché, mi ritrovai a girare nuovamente i tacchi e a dirigermi al piano di sotto, alla cella numero 8.

-Come mai qui sotto, dottoressa?-
Rivolsi un'occhiata veloce all'agente di guardia al corridoio, senza guardarlo davvero -Devo parlare con un paziente-
-Non si trattenga troppo-
In altre circostanze avrei alzato un sopracciglio e gli avrei chiesto il perché di quell'affermazione a mio parere assurda. Ero io il medico, e se ritenevo opportuno parlare con un mio paziente avevo il diritto di farlo in ogni momento e per quanto tempo avessi voluto. Non quella volta.
Ignorai la sua frase e avanzai come in trance, non so quante paia di occhi che mi fissavano...curiosi, annoiati, arrabbiati.
Quando arrivai davanti alla sua cella lo trovai sdraiato sulla branda posizionata a sinistra di quello spazio, che costituiva l'unico accenno di "arredamento" insieme al water e al piccolo lavandino, dalla parte opposta. Trovavo mostruoso che fossero costretti a fare certe cose pubblicamente, senza la minima privacy.
Bussai piano sul vetro, senza sapere cosa diavolo stessi facendo.
Lui tirò su la testa di scatto -Harleen...Quinzel! - Si alzò in un istante e per un attimo sembrò esattamente quello che era: uno che aveva un giramento di testa dopo essersi alzato dal letto troppo velocemente. Quel pensiero mi fece salire le lacrime agli occhi.
-Non mi piace quel muso lungo, che ti hanno fatto?- Chiese, appoggiando la fronte sul vetro. La sua voce si era abbassata di qualche ottava, sembrava un latrato. Mi sorpresi a realizzare quanto la cosa non mi spaventasse o turbasse minimamente.
Non risposi e scossi semplicemente la testa, sistemandomi gli occhiali sul naso, per poi toglierli un attimo dopo.
-Non mi va che qualcuno che non sia io riduca così la mia dottoressa preferita. Dimmi chi è stato, Harley...dimmelo...-
Non avevo pronunciato una parola ma lui aveva capito immediatamente che qualcosa non andava. Ero solo molto facile da leggere, oppure quell'uomo possedeva la perfetta chiave per ogni cosa che mi passava per la testa?
-Aveva ragione, mi sento terribilmente sola...sono circondata da persone mediocri...odio la mia vita- Mormorai, gettando uno sguardo verso l'agente con cui avevo scambiato qualche parola poco prima. Guardava verso di noi, ma non sembrava minimamente interessato alla conversazione.
-Oh, povera, povera Harlequin- Piagnucolò il clown, battendo la testa più volte sul vetro.
-Cosa?-
-Harleen Quinzel...un nome originale. Ma può diventare molto più divertente se lo mescoliamo un po'...Harlequin...oh, aspetta- E si illuminò in un sorriso metallico e irregolare -Harley Quinn!-
Mi strappò un sorriso con quel gioco di parole, e solo allora notai che indossava ancora la camicia di forza.
Perché diavolo non gliela toglievano? Non aveva alcuna tendenza a farsi del male, quindi era assolutamente insensato che lo costringessero a portare quell'affare chiuso in una cella da solo!
Appurato che era perfettamente in grado di sbarazzarsene, il fatto che la indossasse comunque dimostrava che si stesse impegnando a comportarsi bene. Quel pensiero mi provocò una stretta allo stomaco.
-Quando pensi che tenterai di psicoanalizzami di nuovo, Harley?-
-Presto...- Mi resi conto che non sapevo come chiamarlo e la frase rimase sospesa a metà, ma lui come al solito capì al volo -Puoi chiamarmi Mr. J...-
Annuii frastornata, c'era qualcosa nel suo sguardo che mi obbligava ad assecondarlo, a dirgli di si. Questa consapevolezza mi spaventò a morte.
-...e quando ci rivedremo, mi dirai chi è stato a ridurti in questo stato...siamo d'accordo, Harley?-
Annuii ancora, come ipnotizzata, desiderando solo che fosse soddisfatto di me, che la mia risposta fosse quella che si aspettava.
-Brava bambina...- Si allontanò dal vetro e fece qualche passo indietro -Non vedo l'ora, Doc-

LIVE FOR HIMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora