BELLE REVE

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-Lo sapete cosa vi farà quando mi troverà? Lo sapete?-
I due gorilla seduti davanti a me, con i mitragliatori stretti tra le mani grassocce, mi fissarono inespressivi. Lo stesso fecero gli altri posizionati tutto intorno a noi. Mi agitai nella camicia di forza. Ora capivo perché Mr. J avesse escogitato un modo per liberarsene ad Arkham, era impossibile starci dentro senza diventare matti! O più matti, nel nostro caso. Ridacchiai.
Eravamo su quel maledetto aereo da non so quante ore, ed ero così indolenzita e stanca che avrei avuto voglia di piangere. Quando mi avevano processata, pochi giorni prima, ero quasi certa che mi avrebbero spedito dritta ad Arkham (il che sarebbe stato piuttosto imbarazzante…), invece mi avevano etichettata come terrorista e non avevo la minima idea di dove mi stessero portando.
-Vi ucciderà tutti…lentamente…lui verrà a prendermi- Feci una pausa, la gola improvvisamente chiusa –Verrà a prendermi presto!-
Indossavo ancora il vestito dorato e nero che mi aveva regalato lui, ma non sembravo affatto la sua donna in quel momento. I capelli mi ricadevano davanti al viso in un groviglio orrendo. Ero sporca…Mr. J non avrebbe approvato. Anzi, si sarebbe proprio infuriato!
-Dove diavolo mi state portando?! Siete muti?!- Sbraitai, perdendo ogni residuo di autocontrollo e scoppiando in un pianto dirotto. Una delle guardie sedute davanti a me alzò la testa –Sta zitta-
Mi gettai in avanti e gli sputai addosso. Lui si alzò in piedi e mi puntò la sua arma alla gola.
-Fallo un’altra volta e ti faccio saltare la testa, puttana. Guardatela tutti ragazzi! La puttana del Joker! Pensi davvero che quel pazzo verrà a prenderti? -  E mi spinse la canna del mitragliatore ancora più a fondo nel collo. Per tutta risposta scoppiai a ridere.
-Voi siete fottuti…- Continuai a sghignazzare. Mr. J sarebbe venuto presto e avrebbe dato loro una lezione, pensai, mentre quell’idiota scuoteva la testa e si metteva di nuovo seduto. Sarebbe venuto presto a salvarmi.

 
-Toglietele quella cosa. Spogliatela- Mi guardai intorno in quella stanza, anonima e grigia. Davanti a me, una schiera di guardie in uniforme nera che mi puntavano le armi addosso. Non avevo avuto il tempo di capire dove mi trovassi, perché mi avevano sbattuto giù da quell’aereo e spinto fin lì, completamente circondata da tizi alti due metri. Nessun comitato di benvenuto a dirmi “Ciao Harley!” o almeno una fottuta scritta che mi suggerisse il nome di quel posto! Non ero neanche sicura che fosse un carcere normale. In ogni caso ero sicurissima che non ci sarei rimasta per molto.
Una delle guardie, una donna, mi si avvicinò e mi slacciò la camicia di forza. Me la strappai di dosso e allargai le braccia –Era ora! Dovrebbe essere illegale costringere qualcuno a…-
-Sta zitta!- Fece un altro tizio in nero. Ma cos’era questa regola dello stare zitta? Non mi andava di stare zitta, mi piaceva parlare! –Togliti il vestito e mettiti con le spalle al muro-
Obbedii, rimanendo in mutande e reggiseno a morire di freddo –Ma perché?-.
Un istante dopo, un potente getto d’acqua gelida mi arrivò addosso. Mi coprii gli occhi con le mani e mi voltai, premendo la guancia addosso al muro. Lacrime silenziose si mescolarono con l’acqua gelata e quando finalmente il getto cessò fissai quei bastardi uno per uno, pregustando il momento in cui avrei camminato sopra i loro cadaveri. O magari ballato.
-Non un movimento. Questi ragazzi non si farebbero problemi ad ammazzarti, non si fanno incantare da un bel visino-
Mi strinsi le braccia intorno al corpo e misi il broncio –Andiamo…non volete diventare miei amici?-
Loro mi ignorarono e il tizio che aveva parlato prima fece un segno ad un altro tipo poco lontano da lui, che si avvicinò e mi ammanettò velocemente. Alzai gli occhi al cielo. Come se avessi potuto tentare la fuga con almeno venti mitra carichi puntati addosso!
Mentre quel cafone mi spingeva fuori da quella stanza ripensai a poche notti prima. Il mio amore non era riuscito a salvarmi dalle grinfie di quel pipistrello. Era tutta colpa sua se mi trovavo in quel postaccio! “Stupido Batsy…”. Mi mancava il mio Puddin…sperai che almeno lui stesse bene.
Superammo altre stanze simili a quella in cui eravamo prima, anzi, sembravano proprio tutte uguali, e alla fine entrammo in un lunghissimo corridoio.
Pochi metri più avanti altre guardie vestite in nero –Che fantasia! Sarà difficile distinguervi l’uno dall’altro! - Ridacchiai, fingendo di non vedere una sedia a rotelle vuota che sembrava proprio attendere me, posizionata vicino ad un piccolo tavolino mobile; tre contenitori e vari strumenti medici sopra. Deglutii. Iniziavo a sentirmi un po' agitata. Che diavolo di posto era quello??
-Oh, non preoccuparti. Basterà che ti ricordi della mia faccia- Un uomo alto, con una faccia per niente rassicurante e molto poco da tutore della legge si avvicinò e si chinò su di me, mentre venivo spinta a terra dall’altro tizio che mi aveva portata fin lì.
-Ah si?- Cantilenai, fissando la sua barbetta ispida –E sentiamo, chi saresti?-
-Puoi chiamarmi Griggs. Sarò il tuo migliore amico qui dentro, credimi…-
-Ho già un migliore amico, e molto presto verrà a tirarmi fuori da questo cesso- Sibilai. Qualcuno dietro Griggs sobbalzò. Sorrisi soddisfatta.
-Sei a Belle Reve, dolcezza. Nessuno esce di qui a meno che non sia dentro un sacco di plastica!-
Belle Reve? Cos’era? Un carcere? Un manicomio? Non è che mi stessero dando chissà quante informazioni.
-Mettila su quella sedia, Rodriguez- Ordinò Griggs alzandosi in piedi. Non mi andava che mi spostassero qua e la come un sacco di patate, così quando quel tipo si avvicinò, gli diedi un calcio dritto sul naso. Un istante dopo un fiotto di sangue gli colò giù dalle narici. Iniziai a ridere; una risata disperata. Sapevo di essere bloccata li. Non avevo scampo. Forse mi avrebbero sparato e sarei morta entro un’ora. O entro un minuto.
No. Non volevo morire senza aver visto Mr. J un’ultima volta…ma perché non mi aveva salvata? Ci doveva essere un motivo più che logico che non riuscivo a cogliere…
-Coraggio…sei alto uno e novanta e lei è solo una donna! Incredibile- Griggs mi prese per i capelli e mi fece sedere su quella maledetta sedia, bloccandomi i polsi ai braccioli e il corpo allo schienale.
-Apri la bocca…AAAAAH-
-Cosa!?  No…io non…- Qualcuno dietro di me fece pressione sulle mie guance e mi costrinse a spalancare la bocca, per poi infilarmi una specie di bavaglio rotondo tra le labbra e bloccarmi anche la testa addosso allo schienale della sedia.
Senza che potessi fare nulla per evitarlo le lacrime tornarono a rigarmi le guance. Un giorno l’avrebbero pagata, avrei raccontato tutto a Mr. J e lui li avrebbe sistemati per le feste. Griggs sarebbe stato il primo.
-Siamo pronti?- Fece una donna che non avevo notato fino a quel momento. Forse era appena arrivata o forse non ero più tanto lucida. Portava una divisa da infermiera e si avvicinò al tavolino a mezzo metro da me.
“No…NO…NO!” La donna mi guardò fissa negli occhi. A nulla valse il mio sguardo implorante, perché prese un tubicino e me lo infilò nel naso senza la minima grazia. Lo sentii raschiarmi le narici e su, su fino a che non raggiunse la cavità orale. Un conato di vomito violentissimo mi scosse, e dalla bocca tenuta oscenamente aperta iniziò a colare saliva a quantità industriali. Le lacrime si mischiarono alla saliva. La rabbia si mischiò all’umiliazione. Ma io non riuscivo a pensare che a Mr. J.
Griggs si inginocchiò di fianco a me e mi accarezzò i capelli, per poi rivolgere la sua attenzione ai flaconi posizionati in fila sul tavolo.
-Puoi scegliere stasera, visto che è la tua prima volta. Cos’abbiamo? - Volsi lo sguardo appannato dalle lacrime verso le etichette di quei contenitori -…Abbiamo cioccolato, fragola e vaniglia! -
“FORCEVITE. Sostitutore totale dei pasti. Nuova formula ad assorbimento veloce” lessi. Oh mio Dio. Chiusi gli occhi, fingendo di trovarmi nella camera da letto di Mr. J, arrabbiata per cose futili e un attimo dopo con la faccia premuta sul cuscino e il suo peso addosso. Il suo respiro accelerato dentro le orecchie.
-Sveglia, principessa! Allora? Non vuoi ordinare? - Aprii gli occhi e lo vidi fare un cenno d’assenso all’infermiera. Non volevo guardare cosa diavolo mi stessero mettendo dentro.
-Il mio compito è tenerti in vita finché non morirai. Ficcatelo in testa-
Mr. J mi avrebbe tirata fuori di lì molto presto. Molto presto.
 
 
“Non posso crederci” Pensai, rannicchiata in un angolo della mia cella. Non potevo credere di essere li dentro da un mese intero. Non potevo.
Ogni mattina quando mi svegliavo la consapevolezza di essere ancora rinchiusa e senza possibilità di fuga  mi dava la nausea, e insieme, il dubbio sempre crescente che Mr. J si fosse dimenticato di me. Perché non era ancora venuto? In fin dei conti ero in Louisiana, non su Marte! Appoggiai la testa sulle ginocchia e ricordai con una certa soddisfazione come mi fossi procurata quell’informazione.
-Hey? Sei carino…vieni qui un attimo…devo chiederti una cosa- Avevo sussurrato a una guardia, un ragazzo di non più di venticinque anni, che mi guardava sempre il culo. Piuttosto allampanato, per niente sveglio. Alle prime armi.
-Non ti avvicinare alle sbarre!- Aveva detto lui, puntandomi la pistola addosso.
-Mi annoio…voglio solo chiederti una cosa…- E avevo messo il broncio. Sapevo perfettamente che c’erano telecamere ad ogni angolo della cella, una stanzetta angusta al limite del claustrofobico...ma che mi importava, non avrebbero avuto il tempo di fare niente. E le sbarre non erano elettificate.
-Che vuoi?- Il ragazzo aveva abbassato la pistola e si era avvicinato alle sbarre che ci dividevano. Doveva essere straordinariamente fiducioso nel prossimo o completamente idiota, perché si tolse l’elmetto nero che tutte le guardie indossavano giorno e notte (sospettavo che ci dormissero), prima di venirmi vicino. Avevo stretto le dita intorno alle sbarre rivolgendogli il sorriso più dolce e innocente di cui ero capace.
-Come ti chiami?-
-Sam…- E aveva abbassato lo sguardo sulle mie dita che ora gli accarezzavano la stoffa dell’uniforme sulle spalle.
-Sam…mi sai dire dove siamo?-
-A Belle Reve-
Avevo resistito alla tentazione di urlargli in faccia quanto cavolo fosse idiota per poi ritentare –Oh, si, lo so questo. Intendo…in che stato?-
-In Louisiana-
Gli avevo sorriso ancora e stretto le dita attorno al colletto della divisa –Ti fa male?-
Lui aveva strabuzzato gli occhi, confuso –Cosa?-
-Questo!- E con un movimento fulmineo lo avevo strattonato verso di me, facendo leva con i piedi sulle sbarre. La sua zucca vuota che sbatteva violentemente contro il ferro aveva prodotto un suono piuttosto musicale. A Mr. J sarebbe piaciuto un sacco!
Iniziai a ridere da sola a quel ricordo. E non era stato l’unico idiota con cui mi ero divertita un po'…mi annoiavo così tanto. Che pretendevano?
Un rumore improvviso mi distrasse da quei pensieri e mi alzai in piedi, avvicinandomi alle sbarre.
-Quinn!-
“Oddio, no…” Odiavo quel rituale giornaliero, durante il quale Griggs si ritagliava un momento solo per importunare me. Quell’uomo era un tale imbecille.
 

JONNY FROST (POV)
 
Erano passati quasi quattro mesi da quando Harley era sparita nel nulla. I quattro mesi più infernali della mia vita. Lavorare per lui non era mai stato facile, ma almeno prima avevo ordini precisi. Tutto ciò che dovevo fare era eseguirli e non fare domande se ci tenevo alla pelle.
Ora, alla pelle continuavo a tenerci, un sacco. Il problema era che non c’erano più ordini precisi.
Un giorno mi ordinava di cercare lei. Il giorno dopo non voleva saperne e mi ordinava di lasciar perdere. C’erano giornate si e giornate no, e quella era decisamente una giornata no.
-Dov’è lui?- Mi chiese Joe. Gli uomini stavano iniziando a spazientirsi. Joker era apatico. Non lavorava, non usciva. Ma soprattutto, non pagava.
-Non vuole vedere nessuno- Risposi secco, chiudendo l’ennesima sacca stracolma di armi che avrei dovuto lasciargli fuori dalla porta di quel magazzino che era praticamente diventato casa sua. Non aveva più messo piede nell’attico.
-Ah no? E a noi chi ci paga, Frost?- Sibilò lui, sbattendo un pugno sul tavolo.
-Potete andarvene quando vi pare, lo sapete- Mi caricai la sacca sulla schiena e gli voltai le spalle.
-Si, certo…- Il sarcasmo nella sua voce era palese e giustificato. Andarsene significava essere morti. Nessuno piantava Joker in asso. Anche se, a dirla tutta, forse quello sarebbe stato veramente il momento giusto per filarsela…probabilmente non si sarebbe accorto neanche se Gotham gli fosse esplosa intorno…
In ogni caso stavo continuando le ricerche di Harley per conto mio, sapevo bene che un giorno o l’altro il capo mi avrebbe improvvisamente chiesto di lei aspettandosi delle risposte e non potevo farmi cogliere impreparato. Una cosa era certa, non era a Gotham. Non era ad Arkham. Sarebbe stato troppo facile. Avevo il sospetto che l’avessero spedita in capo al mondo solo per tenerla il più lontano possibile da lui.
Quando ero stato al GCPD, il suo fascicolo diceva che l’avevano etichettata come terrorista e spedita in un carcere di massima sicurezza. Ma nessun nome. Nessuna ubicazione.
Il prossimo passo sarebbe stato “reclutare” il Giudice Finch, che l’aveva processata, e costringerlo a dirmi tutto. Il problema era che quel vecchio bastardo era andato all’estero subito dopo il processo, forse per paura che Joker gli facesse la festa, e non sarebbe tornato prima di un mese. Non avevo altra scelta che aspettare.
Abbandonai la sacca davanti alla porta. Non bussai, non lo chiamai, ma dall’interno della stanza sentii provenire una tetra nenia, un suono gutturale seguito da una risata sommessa. Qualche parola sconnessa. Un brivido mi si arrampicò su per la schiena e mi affrettai a togliermi da li.
Dovevo trovare quella donna, e in fretta.

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