22 GENNAIO, ore 10:45

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Devo aver dormito un po', perché sono quasi le undici. Appena apro gli occhi penso a cosa sia successo e non ricordo nulla di significativo. Evelin mi guarda come mi immagino potrebbe guardare una cavia da laboratorio, un misto fra curiosità e disprezzo. Poco male, tanto ho una nausea così forte che francamente il modo in cui mi guarda lei è l'ultimo dei miei problemi. Muovo gli occhi intorno e capisco che sono ancora nella sala riunioni. Pare che siamo solo io e lei.

"Cosa è successo?", riesco a dire senza vomitare (il che mi sembra un gran successo, data la situazione).
"Niente", mi dice lei con aria angelica, "sei svenuto, tutto qui."

"Tutto qui???", urlo (almeno, nella mia testa era un urlo).

"E va bene, sei stato sedato. Contento, adesso?"

"Che vuol dire?"

"Hai visto qualcosa che non avresti dovuto vedere e Lucifer voleva estinguerti. Ma l'ho fermato. Sei carino, e hai una buona influenza su Lisa, così ho pensato che forse puoi ancora essere utile."

"Perché Lucifer voleva estinguermi?" (estinguermi?).

"Lui non è mai stato d'accordo sul fatto che Lisa ti dicesse chi siamo. Poi è stato al gioco, per forza di cose. Ma avrebbe preferito che nessun umano venisse coinvolto. È ossessionato dalla privacy, per così dire. L'ho convinto a lasciarti stare, ragazzino. Dovresti ringraziarmi."

Cosa che non succederà di certo, non in questa vita.

Mi alzo da terra (ero a terra), mi siedo e prendo dell'acqua.

"Ma come avete fatto a mandare tutti per aria?"

"Il giorno che la smetterai di usare solo il cervello e collegherai il cuore alla massa grigia che hai in testa, forse capirai che non tutto quello che succede può essere spiegato con la sola ragione. Dovresti avere un po' di fede, per così dire."

"Fede in cosa?", chiedo.

"Fede nel fatto che la magia esiste, Leonard. E nel fatto che ci sono cose che non puoi capire se non attraverso l'abbandono completo della ragione. Finché ti sforzi di capire queste cose, non le vedrai mai. Nel momento in cui chiuderai gli occhi, allora forse ti saranno più chiare."

Bevo ancora. Forse qualche anacardo potrebbe farmi bene. Identifico il sacchetto sul tavolo.

"Non mi sembra il caso", dice lei, "hai appena rischiato di passare dall'altra parte, ti ci vorrà un attimo per riprenderti. Bevi, ma lascia stare le noccioline."

Forse ha ragione. Non solo sugli anacardi, intendo. Forse la mia ossessione per il cervello e la razionalità mi impedisce di vedere alcune cose. Ma la razionalità mi protegge, mi ha sempre protetto fin da piccolo. È sempre stato il mio antidoto ai tormenti delle risposte mancate, a tutti coloro che non sapevano cosa dire a un ragazzino un po' più curioso della media. Ho sempre avuto un rapporto difficilissimo con le emozioni, molto più facile usare la neocorteccia: studiare gli altri, analizzare i problemi come un calcolatore, avere risposte alle domande. In ogni caso, ora devo capire un po' di più di quel che è successo.

"Voglio capire che cosa è successo, Evelin."

"Ma sei ritardato?", mi dice lei, lasciandomi di stucco. Nessuno, nessuno si è mai permesso di dirmi una cosa del genere. Nemmeno da piccolo, quando mi prendevano tutti in giro perché ero lo sfigato ciccione e secchione della classe, nessuno ha messo in discussione la mia intelligenza. Anzi, venivo preso in giro per quella. E lei mi ha appena dato del ritardato.

"Non hai ancora capito?", prosegue, "e sì che sei uno sveglio! Che cosa pensi che sia successo? Chi pensi che siamo? Pensi davvero che tutte le persone che hai conosciuto siano dei dementi, convinti di essere angeli al servizio di Dio?"

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