Capitolo 9- La piccola Sammy

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Fai in modo che
Qualcuno sia sempre
Felice di averti incontato


Crystal:

«NOOOO» le urla della bambina mi svegliano dal trans.
Ho giurato a me stessa di difenderla e ora non posso lasciarla lì con le avidi mani di uomini che vogliono approfittarsi di un corpo così piccino.
«Lasciami maledetto maniaco» grido contro il soldato che palpa con gusto il mio corpo, spingendolo; non posso fargli male, i piccoli occhi languidi della bambina sono fissi su di me in cerca di salvezza e non voglio che veda ancora altra violenza.
Mi avvicino a lei spingendo via l'uomo ubriaco e mi piego cosicché i nostri occhi sono alla stessa altezza «Vuoi andare via di qui?» le chiedo dolcemente evitando di pensare che una mano è posata sul mio sedere; lei annuisce intimorita «Allora chiudi gli occhi e tra poco ti troverai fuori» le rassicuro vedendo il suo corpo piano piano rilassarsi.
«Farai una magia?» mi chiede speranzosa con quegli occhi scuri che piano piano riprendono la loro splendida luminosità.
«Certo, però se vuoi che funzioni devi contare fino a cento; lo sai fare vero? Tu sei bravissima» una piccola risata le esce dalle labbra sottili mentre annuisce con entusiasmo e chiude gli occhi.
«Uno...Due...Tre...» mi allontano da lei per affrontare i soldati.
«Quattro... Cinque... Sei» Greg si avvicina per primo e la rabbia mista al disgusto si fanno strada dentro di me risvegliando la bestia dormiente per così tanti anni.
«Sette...Otto...Nove» gli afferro il braccio e lo attiri a me facendogli perdere l'equilibrio tirandogli una ginocchiata nello stomaco; per il dolore s'inginocchia per terra tossendo bruscamente, con il suo braccio ancora tra le mie mani lo giro e glielo spezzo facendo esplodere un urlo dalle labbra bagnate di alcool, mi avvicino al suo orecchio e gli sussurro «Gli uomini dannati come te devono soffrire» sputandogli tutto il mio disprezzo sul suo viso moribondo.
«Dieci... Diciassette... Venticinque» continua a contare coprendosi le orecchie.
«Ventisei... Quindici.... Trenta» afferro la sedia al tavolino affianco e la scaravento sui visi dei due uomini che si sbellicano dalle risate sbattendo la testa contro il muro e perdendo i sensi; questa sì che si chiama fortuna.
«Cinquanta... Quarantasette... Sessantacinque» il quarto non ce più insieme a tutti gli altri che stavano guardando lo spettacolo; meglio così.
Mi avvicino alla piccola rannicchiata a un angolino che continua a contare numeri non coordinati e la chiamo per un braccio «Piccola puoi aprire gli occhi» immediatamente li apre ed esamina la stanza silenziona e sottosopra.
«Ma io non avevo finito di contare; ero arrivata a settantacinque» mi informa tristemente.
Le sorrido e l'aiuto ad alzare «Vuol dire che sei stata bravissima a contare» usciamo dalla stanza allontanandoci da quelle persone e da quel luogo sperando di dimenticare tutto.
«Come ti chiami?» mi chiede la bambina mentre attraversiamo uno dei corridoi in cerca della mensa.
«Crystal e tu?» le chiedo mentre leggo tutte le targhette attaccate sulle porte di metallo.
«Samantha, ti eri persa come me?» mi chiede mentre entriamo in una stanza con la scritta "SPOGLISTOI" per farle cambiare quei pochi brandelli di abiti che le sono rimasti.
«Si, il mio compagno mi ha lasciata perché si doveva cambiare e mi sono dimenticata di chiedergli dove si trovi la mensa» rido alla mia sbadataggine; sarà stato per la troppa vicinanza del suo corpo che stranamente non mi ha messo in tensione o per l'esplosione di emozioni che mi causa questo veleno; non saprei dare una risposta precisa.
Studio il luogo in cui stiamo: una grande stanza interamente rivestita di mattonelle bianche; delle cabine docce ricoprono tutto il fianco della stanza e in un angolino sono situati dei mobiletti in legno laccato con i nostri vecchi vestiti posati sopra; cerco qualcosa per Samantha e trovo i suoi vecchi abiti: un vestitino nero abbinato a delle scarpette della stessa tinta.
«Oggi ero andata al cimitero perché era il compleanno del mio papà» afferma con gli occhi in giù e la voce rotta da piccoli singhiozzi che cerca di smorzare.

L'aiuto a indossare il vestito che le dona perfettamente mettendo in risalto i suoi corti capelli castani come i suoi occhi e la sua pelle olivastra; penso a lei e alla sua mamma sole in una casa, a tavola pronta per tre persone tra cui una che non sarà mai li presente perché gli esseri superiori a noi hanno deciso, per loro capriccio, di fare così; sento la malinconia crescere rapidamente, ha dovuto vivere senza una persona a lei molto importante; un destino di un altro che marchia l'anima delle loro vittime; è come in guerra, ci si posiziona una mina che arrivata la sua ora devasta tutto ciò che le sta intorno.
Chissà perché lei si trovi qui?
Impossibile che possa essere presa per l'Arena; è troppo piccola e indifesa, dovrò parlarne con il Generale per saperne di più. Spero con tutto il mio cuore che non sia così, che resti al sicuro nella città.
«Andiamo piccola Sammy?» le chiedo prendendole un braccio e uscendo dalla stanza per andare in mensa.

Dopo una decina di minuti a girovagare in cerca della mensa abbiamo trovato un soldato che ci ha dato le giuste indicazioni e ora ci ritroviamo qui; davanti a questa grande porta a due ante di metallo laminato.
Non so perché siamo ferme a fissare la porta senza fare nulla.
Samantha aspetta qualche mia azione; mentre io... io non so cosa mi accade, un morso allo stomaco mi crea un forte dolore che si diffonde in tutto il corpo come elettricità; perché mai questa reazione?
Le porte vengono spalancate d'improvviso con grandissima forza da farle sbattere contro il muro verniciato da poco tempo; d'impulso io e Sammy facciamo un passo indietro sussultando bruscamente.
Fino a quando una mano si schianta sul mio viso da farmelo girare e sentire le piccole vibrazioni sulla pelle
«Ti rendi conto che hai fatto attendere il Generale per le tue sciocchezze» urla Isaac indicado la bambina di fianco a me che lo guarda impaurito e strattonandomela d'improvviso.

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