Quarto Capitolo

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We are  one and the same

You take all of the pain away

Save me if I become my demons...

My demons










Thomas cercava di riprendersi, di riordinare i pensieri che lo scombussolavano più di tutto. Era ad Atlantide, un posto che aveva sempre creduto parte di un mito, eppure ... si ritrovava a correre tra le mura di quella città "sommersa", reputata da alcuni scomparsa o persino mai esistita.

Certo, pensare che fosse stato catapultato in una dimensione irreale gli raggelava il sangue nelle vene, mozzandogli il respiro, ma c'era qualcosa che lo faceva sentire come se fosse al sicuro.

Il biondo, intanto, non aveva accennato ad allontanare le mani dal suo polso né a fermarsi, e peggio della velocità cui vanno i fulmini, saettava a destra e manca recandosi chissà dove.

Thomas provò a reprimere un conato di vomito, si sentiva scombussolato, spaesato. Diverse potevano essere le cause di quel malessere: cambiamento d'aria? Troppo stress? Mal di mare posticipato?

No, lui non ne aveva mai sofferto.

Sperò che fosse tutto un sogno, non poteva essere altrimenti. Non stava girando le riprese di un film, e quella realtà non poteva esistere. Forse era un sogno che il suo subconscio frustato stava mettendo in piedi per farlo sentire meno diverso in un mondo di diversi. Giurò che non aveva mai pensato tanto in vita sua, né aveva mai parlato in modo tanto contorto. Da quando in un sogno si pensava così profondamente? Cominciava seriamente a preoccuparsi.

Scesero le scale a passi rapidi, si guardava talmente intorno che non fece caso di aver mancato un gradino. Si catapultò in avanti; immaginava già il viso dolorante schiacciato contro il freddo pavimento e dolori articolari avvolgergli tutto il corpo. Aveva completamente perso il controllo delle sue gambe.

La mano che teneva nella stretta del biondo era scivolata via. Istintivamente allargò le braccia cercando di aggrapparsi al corrimano della scala ma fu vano,  non restava altro che schiantarsi.

Quel momento lo visse a rallentatore; serrò gli occhi, spaventato, non era emozionante  vedersi stroncare ad una velocità impressionante contro il marmo.

Non sentì rumore né dolore.

Si sentì sospeso in aria per qualche frazione di secondo,  il cuore in gola e il fiato bloccato sullo stomaco,  poi fu  tirato indietro.

Era intervenuto lui, con i suoi riflessi lo aveva afferrato in tempo tirandolo a sé. La schiena di Thomas aveva urtato leggermente contro il petto di Newt, ma  questi non aveva  perso l'equilibrio.

Il moro si voltò di lato a guardarlo, incredulo. Mossa sbagliata. Il suo salvatore era a pochi centimetri dal suo viso, lo sguardo incatenato nel suo, le sopracciglia aggrottate facevano pensare allo scetticismo, sì ... Newt era allibito dell'allarmante e semplice capacità  con cui Thomas si cacciava nei guai.

Il pivello di tutta risposta abbassò lo sguardo, timido. Si era preparato a quel terribile urto e, invece, il suo braccio era in una stretta ferrea che l'avrebbe tenuto lontano dai pericoli ancora una volta.

Ma se il vero pericolo fosse stato proprio quel ragazzo dallo sguardo magnetico?

Gettò quella domanda nell'archivio della sua mente, ci avrebbe pensato da tranquillo magari seduto, lontano da incidenti che avrebbero compromesso la sua incolumità.

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